Gli sparatutto a scorrimento non appartengono certo ad un genere particolarmente incline a stravolgimenti di formula; in oltre trent’anni di storia videoludica i suoi innumerevoli esponenti sparsi tra arcade, PC e console sono sempre rimasti fedeli ad un archetipo ben definito, tra cui annoveriamo invero iniziatori, varianti sul tema, e capolavori indiscussi, ma comunque sulla stessa lunghe d’onda, indipendentemente dall’asse di riferimento, dalla curva di difficoltà, o dalle mille sfumature del battle system. Per ovviare alle chiare similitudini con la concorrenza, gli sviluppatori hanno quindi imparato a dare lustro alle proprie produzioni adottando art design distintivi, che con il tempo sono andati ben oltre il classico tema sci-fi condito da astronavi e alieni, dopotutto qualunque soggetto con la giusta fantasia (o pazzia) può diventare protagonista di uno shmup, basti pensare a esempi del calibro di Parodius o Cho Aniki, e addentrandosi in profondità, nel reame underground indipendente, è possibile trovare ben di peggio. E se per una volta invece della semplice presentazione fosse il motore grafico stesso ad acquisire dei tratti “insoliti”? Ce ne parlano di ragazzi di Might and Delight, che ricordiamo per il discreto Pid, con il loro The Blue Flamingo, sparatutto a scorrimento verticale rilasciato qualche mese fa su Steam, un titolo piuttosto elementare a livello di meccaniche, ma con un particolare tecnico davvero intrigante. A cosa ci stiamo riferendo? Lo scoprirete leggendo la nostra recensione.
Conoscete Platypus? E’ uno shmup neozelandese di inizio millennio realizzato unicamente con modelli di plastilina, finemente lavorati, immortalati con una fotocamera digitale, e infine animati in Claymation al computer. Ecco, The Blue Flamingo riprende grossomodo lo stesso concept, ma lo traghetta verso lidi ancora più ambiziosi: il mondo di gioco, le navicelle, persino gli effetti speciali, tutto è stato certosinamente confezionato a mano nello studio del team di sviluppo, trasformato per l’occasione in un piccolo workshop; i canyon e i palazzi sullo sfondo, con tanto di alberi, mulini, strade e automobili, fanno parte di un enorme modellino degno di un set cinematografico, curato nei minimi dettagli, l’oceano che si staglia al termine dello stage non è che un telo bluastro tempestato di lustrini, che risplendono ritmicamente come a simulare il moto delle onde sotto il chiarore della luna piena, i propulsori dei mezzi la fiamma di un accendino, esplosioni e scintille lo scoppio di veri petardi, gli evocativi giochi di luce un reticolo di lampadine colorate strategicamente posizionate, l’avvicendarsi del dì e della notte frutto dell’effettiva accensione di fari e riflettori al di là del campo visivo della camera, fatta scorrere lentamente su di un carrellino automatico… E’ come vedere le proprie creazioni da bambino prendere vita (o almeno se sulla scia del sottoscritto avevate la fissa per gli universi fai da te NdR), e l’effetto complessivo che ne deriva è impressionante, tanto credibile nel contesto quanto galvanizzante da ammirare, un tripudio di stile e personalità come non ci capitava da tempo, difficile da esternare a parole, e nemmeno contemplabile appieno in una sequenza di scatti o filmati; è un’esperienza visiva da vivere personalmente, e poco importa che il background sia uno solo e la varietà di asset obiettivamente scarna, in circa 4 ore di gameplay non ci hanno affatto annoiati, e anzi più ripercorrevamo quelle lande così maestose, più saltavano all’occhio nuovi dettagli dapprima sfuggiti.
Duole dunque constatare degli standard nettamente più modesti sul profilo ludico. The Blue Flamingo non presenta una struttura a livelli ben definita, né un qualche abbozzo di trama, ma si configura come uno score attack di matrice arcade, focalizzato puramente sul conseguimento del miglior punteggio con cui sfidare gli altri utenti di Steam. Le varie ondate non vengono tuttavia generate casualmente, bensì sono state configurate ad hoc per proporre un tasso di sfida progressivamente maggiore, tra nemici più coriacei, nuove minacce, e patten più intricati. Il giocatore ha una sola vita a disposizione, e non può rattoppare in alcun modo lo scafo tra un round e l’altro (ergo una collisione accidentale o un proiettile sul muso è un passo sicuro verso il baratro), in compenso di ritorno all’hangar può investire i soldi accumulati (che però badate bene valgono anche come punti) per aumentare potenza e volume di fuoco dell’arsenale in dotazione, o ridurre il cooldown della classica bomba pulisci-schermo; massimizzare le chance di sopravvivenza o tentare la sorte e proseguire con l’equipaggiamento corrente? Questo meccanismo di rischio/ricompensa è il principale stimolo a rigiocare The Blue Flamingo, poiché per il resto il titolo Might and Delight si dimostra fin troppo lineare: la reattività del sistema di controllo è uno dei suoi assi nella manica, il caccia vira e si destreggia in volo con una leggiadria invidiabile, ma la staticità della flotta avversaria e il ritmo abbastanza soporifero non gli rende certo giustizia, complici tra l’altro un’unica bgm, e pure sottotono, e l’assenza di checkpoint intermedi, che costringe all’avvio di ogni sessione a ricominciare daccapo, riducendo il tutto a un passatempo poco impegnato, lungi dall’intrattenere o coinvolgere per più di una mezz’oretta, giusto il tempo di esplodere un paio di volte. E dire che sarebbe stato possibile aggiungere molta altra carne al fuoco senza costringere gli sviluppatori a insozzarsi ulteriormente le mani, come un paio di boss (magari allo scoccare delle decine), ideali per ravvivare un po’ l’esperienza, una stratificazione più profonda del weapon system, dei power-up in game, o al limite diverse tipologie di caccia tra cui scegliere, e per finire una bella carrellata di achievement, una manna per l’appeal di un gioco che già fa largo uso dei server della Valve per gestire classifiche e carte. E dire però che anche così non riusciamo a staccarvi gli occhi di dosso…