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The Impossible Moffat: Doctor Who – stagione sette, seconda parte (2013)

Creato il 21 maggio 2013 da Silente

The Impossible Moffat: Doctor Who – stagione sette, seconda parte (2013)2013, UK, 9 puntate, 45 min. cad.  Creato da: Steven Moffat  Network: BBC 
Nonostante tutte le premesse e le acquoline dovute, rispettivamente, all’avvicinarsi del cinquantennale, a una trama orizzontale che profumava di drammone epico e soprattutto a una nuova companion, l’unica cosa che realmente mi interessava per la reprise di questa settimana stagione era una cazzo di maggior qualità e soprattutto continuità tra gli episodi, perché sì, si fa presto a dire che quelli che portano la firma di Moffat sono bellissimi, e infatti sono molto belli pure qui (The Snowmen e The Bells of Saint John, un po’ meno il comunque discreto season finale The Name of the Doctor), ma la loro assoluta superiorità è oltre, talmente oltre che le altre puntate, se non facessero comunque già di loro schifo, appaiono come stupidaggini per bimbetti, target al quale, complice anche i due odiosissimi bambini introdotti da Neil Gaiman, pare in fondo essersi direzionata, magari non intenzionalmente, buona parte della serie.
Via l’estrema complessità, via la schizoide tortuosità, via le stramberie funamboliche che avevano arricchito così tanto la stagione precedente, ciò che resta adesso, soprattutto a livello emozionale, è davvero poca cosa, e la sbavante impazienza settimanale è stata disgraziatamente sostituita da una misera, pallidissima e demoralizzante speranza che la prossima puntata non faccia cagare come la precedente.
E questo perché non mi va di chiacchierare sulla trama principale, che è interessante e avvincente nello stesso modo comunque in cui è esageratamente spezzata e priva di qualunque pathos per reggere quell’epica drammaticità e quel dolore galattico provato dal Dottore, sono troppi i filler che non dicono nulla, toppe inutili, noiose e prive di un’atmosfera adeguata, eccessivamente spensierate e bonarie – non che questo sia per forza un male, se il team di sceneggiatori avesse mostrato un maggior coraggio e una strampalata follia, come si faceva in passato, tutto sarebbe stato assai benvoluto, l’episodicità in fondo è sempre stata caratteristica di Doctor Who e non avrebbe di certo senso farne a meno, ma così come sono gli one shot distruggono di fatto una continuity necessaria a dare forza e mordente al mistero legato al nome dell’ultimo Time Lord. Episodi inguardabili come Rings of Akhaten, Cold War e Nightmare in Silver pesano smisuratamente sulle spalle di una stagione che già nella prima parte aveva arrancato parecchio (A Town Called Mercy, Dinosaurs on a Spaceship) e che ora non possiede alcuna puntata memorabile, avventure che sembrano poco più di un manierismo un poco ironico, un poco sci-fi, un poco horror (Hide, Journey to the Center of the TARDIS, The Crimson Horror) ma basta, storielle semplici e tutto sommato godibili ma che, a dircela tutta, hanno l’unico pregio di non essere orribili, e a questo si è costretti ad aggrapparsi.
E a poco è servito anche l’ingresso di Jeanne-Luise Coleman, che è brava e spiritata e misteriosa quanto basta negli episodi scritti da Moffat, e sai che novità, ma che tipo resta immobile ed è inutilmente innocua in tutti gli altri – chiaro quindi che il suo personaggio non riesca mai realmente a ingranare, soprattutto quando diventa necessario quel legame con lo spettatore, quella maledetta affinità per stuzzicare lacrime e dolori quando bisogna sostenere la verità svelata nell’ultima puntata, un legame che in passato ha permesso di fare season finale, se vi ricordate, in cui Tennant e Billie Piper PIANGONO per mezz’ora su quaranta minuti ed era una puntata epocale e indimenticabile, un legame quindi che non si può, non si può instaurare se le avventure di cui è co-protagonista fanno cagare e la mettono miseramente in secondo piano. E dispiace, dispiace tantissimo che non ci siano più i Pond, sarà forse un fattore nostalgia, sarà una semplice virgola di fastidio per la nuova arrivata, ma quell’accoppiata era semplice e funzionale, era simpatica e buffa, niente più ma un trampolino perfetto, completo, per la comicità di un Matt Smith che qui rimane sempre e comunque bravo, ma privo di dialoghi, battute e comportamenti adeguatamente fuori di testa non è che possa fare molto.   
Okay, dài, c’è il bel cliffhanger che prosciuga saliva e palpitazione rimandando al novembre prossimo per il mega episodio del cinquantennale, ma poi? 

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