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The lamb lies down on Broadway

Creato il 29 agosto 2012 da Stanza51 @massimo1963
The lamb lies down on Broadway
"Non copritemi gli occhi, mentre scrivo voglio poter dare un'occhiata alle farfalle di vetro che si sono posate sulle pareti". (Peter Gabriel, 1974)
Ho riflettuto a lungo sul taglio da dare a questo post, senza giungere ad una decisione definitiva. Interpretazioni, aneddoti, analisi certosine sulla cifra stilistica di questo disco si sprecano e continuano ad accavallarsi a distanza di quarant'anni dalla sua uscita senza che si riesca a mettere un punto e basta alle cose da dire, da confermare, da confutare, da contestare. The lamb è un vaso di Pandora o, se preferite mantenervi su un piano di realtà più concreto, la Sagrada Familia della musica rock.
C'è più letteratura a proposito di questo album che su alcuni libri di autori anche importantissimi della scena letteraria mondiale. La spiegazione di tale curioso fenomeno è in realtà molto semplice: nessuno mai, soprattutto in Italia, è stato amato come sono stati amati i Genesis. E l'amore per un gruppo rock, dato che la musica e l'aspetto visivo si aggiungono a quello letterario costruendo un caleidoscopio emotivo senza pari, è sempre più rotondo dell'amore per uno scrittore. Un amore spesso totemico, anche da parte (soprattutto nel caso dei Genesis) della cosiddetta cultura alta, quella cioè che tante volte ribadisce le proprie distanze dai fenomeni cosiddetti pop. La magia dei Genesis rompe dunque l'incantesimo della dicotomia fra cultura alta e cultura popolare, aggrega intellettuali ed analfabeti intorno ad unico feticcio, ammorbidisce le linee di confine fra sacro e profano, razionale ed empirico, arte e spettacolo. L'infinito fiorire di recensioni e commenti, chiose, libelli e pareri d'autore si spiega così. 
Che taglio dare dunque a questo post se tutto, forse addirittura troppo, è stato già detto e scritto? Fare l'ennesima recensione brano per brano marcando stretto i giochi di parole e la genialità di certe soluzioni musicali? Riassumere la storia di Rael, il protagonista del disco, ponendo l'accento sulla metafora del suo percorso così simile eppure così diverso da quello dell'Ulisse raccontato da Omero? Forse potrei fare entrambe le cose limitandomi a citare alcune fonti esistenti sull'argomento. Anche questo è però già stato fatto. Dunque, le possibilità di uno scritto davvero originale su The Lamb sono pressoché nulle. Inoltre c'è la questione del pubblico a cui rivolgersi: neofiti od iniziati? Ogniqualvolta non so da che parte iniziare, capisco che devo scrivere di getto ed attendere che l'illuminazione mi colga.
E' il 1974. 
Le sale cinematografiche proiettano Mean Streets di Scorsese, La paura mangia l'anima di Fassbinder e La Conversazione di Coppola, ma anche Fantozzi e Porgi l'altra guancia. Muore Vittorio de Sica. Sulla rete televisiva americana ABC fa il suo debutto la serie televisiva Happy Days. A Roma il Partito Radicale inizia la campagna referendaria per l'abrogazione della norma del codice penale che vieta l'aborto, mentre a Torino la FIAT mette in cassa integrazione 65.000 operai, preparando il terreno ad uno degli autunni più caldi della storia italiana. Richard Nixon dà le dimissioni da Presidente degli U.S.A. per evitare l'impeachment a seguito dello scandalo Watergate, più o meno negli stessi giorni in cui da noi si compie la strage in Piazza della Loggia a Brescia. L'industria discografica sforna Rock 'n' roll Animal di Lou Reed, Diamond Dogs di Bowie, Apostrophe' di Zappa e Planet Waves di Dylan. La nostra hit parade ci segnala ai primi posti la Vanoni e Baglioni ed Anna da dimenticare dei Nuovi Angeli. Quest'ultima notizia è un po' forzata a causa dei pruriti sarcastici del sottoscritto, il quale non può però - amando la verità - fare a meno di segnalare fra i dischi più venduti da noi, Tubular Bells di Mike Oldfield e Selling england by the Pound dei Genesis, quest'ultimo uscito nel 1973.
La storia narra che nello snocciolarsi delle date del tour che servì a promuovere Selling England vanno ricercati i prodromi dell'imminente separazione di Gabriel dai Genesis: quelle maschere ingombranti, i travestimenti, l'eccessiva centralità del frontman, stavano iniziando ad andar stretti agli altri quattro. I primi malumori nell'universo Genesis stavano dunque per porre fine alla stagione dell'Art rock. Così, quando l'album successivo fu dato alle stampe, il divorzio tra l'istrionico cantante e gli altri quattro musicisti era già stato consumato. Gabriel si era presentato in sala d'incisione con tutti i testi del nuovo album sotto il braccio senza aver contribuito alla realizzazione della musica e soprattutto, cosa che gli altri non gli avrebbero mai perdonato, avendo negato a Banks, Rutherford, Hackett e Collins di mettere becco nella stesura dei testi, per timore che l'impalcatura della storia in essi contenuta - così complessa e fragile allo stesso tempo - avesse potuto scricchiolare, vanificando il suggestivo gioco di rimandi letterari e di allusioni oscure che rappresentavano il punto di forza del progetto.
"Mi stavo sentendo parte dello scenario, fuggii via dal meccanismo" (Peter Gabriel, 1976)
The lamb lies down on Broadway, quattro facciate per novanta minuti complessivi, nasce dunque così: la musica da una parte, i testi dall'altra. Un megalomane autoritario che inizia a cantare su tutto ciò che ha un suono, coprendo con la sua voce perfino le parti nate per essere solo delle transizioni sonore. Insomma, degli ottimi presupposti per un flop discografico, di pubblico e di critica. Steve Hackett, il chitarrista del gruppo, ricorda le fasi della registrazione come uno dei momenti più frustranti della sua esistenza. Perfino Tony Banks, amico d'infanzia di Gabriel, pensa ancora a The Lamb come ad un'occasione perduta. Ancora oggi i fans dei Genesis si dividono tra quelli che gridano al miracolo (pochi), i tiepidi (molti) e i detrattori tout court (la maggior parte). La stessa cosa vale per la critica e per gli amanti della musica in generale. 
E' alquanto strano, comunque, che se ne continui a parlare a distanza di circa quarant'anni con toni sempre accesi: ho fatto un rapido giro sul web e mi sono accorto che esistono recentissimi botta e risposta dai toni spesso off limits sull'argomento.
La verità è che The lamb lies down on Browday è il capolavoro assoluto del Prog-Rock e quindi, utilizzando un semplicissimo sillogismo aristotelico molto caro agli amanti della musica colta, il capolavoro assoluto della storia del Rock.
So benissimo che quando si fanno affermazioni così nette si corre il rischio di risultare poco credibili e vittime di una fascinazione fuorviante ed illusoria. Sarà bene pertanto che io passi immediatamente a motivare ciò che ho appena detto.
Ciò che rende immortale un'opera, sia essa letteraria, pittorica, cinematografica o musicale, è l'abbondanza dei piani di lettura. Se l'Ulisse di Joyce, ad esempio, non unisse ad un registro dottrinale (dominante) un registro parodistico, non sarebbe il romanzo più importante del '900. Se il Guernica di Picasso fosse una tela raffigurante un bombardamento aereo piuttosto che il meraviglioso caleidoscopio di simboli oscuri che in realta è, non si sarebbe mai parlato di opera immortale. Se Kubrick non avesse preso a pretesto la fantascienza per descrivere la perdita di controllo dell'uomo moderno nei confronti di se stesso e della realtà circostante, 2001 Odissea nello spazio non sarebbe un film leggendario.
The Lamb è innanzitutto un affresco sonoro che sposta le coordinate del progressive dal versante madrigalesco e favolistico a quello underground ed espressionista. Tale passaggio è ben simboleggiato dalla complessa copertina, non più affidata alle coloratissime illustrazioni di Paul Whitehead (perfette per gli album precedenti), ma da una sequenza di foto rigorosamente in bianco e nero assemblate da Storm Thorgerson in modo da raccontare la storia di Rael, il protagonista della storia, con la vena espressionista di cui sia la musica che i testi sono ricchi.
Un affresco sonoro, dicevo, in cui si possono ravvisare i primi bagliori punk (Back in N.Y. city), i passaggi dodecafonici (The Waiting Room) in cui il lavoro di Brian Eno - che partecipò alla realizzazione dell'album - emerge con chiarezza, i momenti intimisti (Fly on a Windshield - Anyway), le ballad in puro stile progressive come The Carpet Crawlers, la cui struttura classica è arricchita da un'introduzione che ricorda i brani dei musicals americani. Complessivamente, l'abbondanza dei tempi dispari offre a Gabriel l'occasione per sfoderare una serie di acrobatici calembour, a Collins di consacrarsi come batterista di livello superiore e ad Hackett di esibire una serie di soluzioni chitarristiche di notevole pregio.
Tra i brani degni di nota, oltre a quelli già citati, spenderò qualche parola in più per Broadway Melody of 1974, memorabile per il cantato, il testo, il pulsare del basso. La voce di Gabriel sale e scende fino ai registri più bassi per regalarci il sapore di un'epoca tormentata e confusa che trasmette sinistri presagi. Il brano prende chiaramente spunto dal musical The Broadway Melody del 1929 (guarda caso, l'anno della grande recessione americana e mondiale), la cui versione originale, contenente qualche fotogramma in Technicolor, andò persa. Oggi sopravvive un'unica copia in bianco e nero, ed a Gabriel non dev'essere sfuggito questo curioso particolare, poichè la sua riedizione a distanza di quarantacinque anni ha nella musica e nel testo il potere evocativo di cose irrimediabilmente perdute od in lento disfacimento: 
Echi dell'immortale Broadway Con le mitiche madonne che camminano ancora nelle loro ombre Lenny Bruce dichiara una tregua e gioca l’altra mano Marshall McLuhan, osservando casualmente, nasconde la testa sotto la sabbia Sirene risuonano sui tetti ma non c’è nessuna nave che salpa Groucho, con gli spezzoni dei suoi film, se ne sta da solo con le sue battute fallite Il Klu Klux Klan serve cibo caldo per l’anima e la banda suona “In The Mood” La ragazza pon-pon agita la bacchetta al cianuro C’è un odore di fiore di pesco e mandorle amare Caryl Chessman annusa l’aria e guida la parata Sa che in un profumo si può imbottigliare tutto ciò che si fa C’è Howard Hughes con scarpe di camoscio blu Che sorride alle majorettes fumando sigarette Winston E mentre canzoni e danza hanno inizio I bambini giocano a casa con aghi, Aghi e spilli.
L'ultimo verso arriva, come dicevo poc'anzi, ad inserire il tempo futuro in un testo che sciorina icone del passato e del presente ripercorrendo cinquant'anni di storia americana in poche battute: i bambini si esercitano nell'arte del Voodoo, emblema di un futuro prossimo in cui ci sarà sempre meno spazio per la ragione e sempre più per la violenza.
Le persone dei miei ricordi sono appese ad eventi non molto chiari, ma ne tiro fuori una osservandola mentre si disintegra, si decompone per dar corso ad un'altra sorta di vita. La persona in questione è di materiale completamente decomponibile, che ritorna allo stato naturale e si chiama RAEL. Rael mi odia, io voglio bene a Rael. Sì, anche gli struzzi hanno sentimenti. Ma la nostra relazione è qualcosa con la quale entrambi stiamo imparando a vivere. A Rael piace divertirsi, a me piace una buona rima, ma non riuscirete più a vedermi direttamente - lui odia la mia presenza. Così, se non funziona, sarò pronto a fare la terza persona, capite? Le rime sono lì apposta, sciocchi. (Peter Gabriel, 1974)
La storia di Rael è quella di un giovane portoricano di New York che in una fredda mattina d'inverno sbuca dalla subway nel cuore di Manhattan col suo carico di orgoglio e di frustrazioni. Dal vapore di un marciapiede newyorkese prende forma e vita un agnello, mentre una nube scende come un pallone su Time Square, per poi appiattirsi sulla superficie della piazza fino a diventare un immenso schermo che rapidamente assorbe qualsiasi cosa. I Newyorkesi continuano la vivere la propria quotidianità come se nulla fosse. Rael tenta di sfuggire al cataclisma ma la polvere che si solleva da ogni dove s'impossessa di lui al punto tale da pietrificarlo. Piomba in uno stato d'incoscienza e da qui in poi inizia un'avventura metaforica attraverso incontri con esseri deformi, creature mitologiche, suo fratello John, che lo condurranno al ritrovamento del "sè". 
Avventura metaforica - dicevo - ed aggiungerei massonico-rivoluzionaria alla stessa maniera in cui lo è il Così fan tutti di Mozart (cfr. Lidia Bramani, Mozart massone e rivoluzionario - Mondadori 2005), e quindi opera alchemica di trasformazione psichica e sessuale (The Lamia, Hairless Heart, Counting out time) e di Rigenerazione.
Tali temi - l'elemento massonico-rivoluzionario, il Mysterium conjunctionis jungiano - sono elementi costitutivi dell'intera era psichedelica oltre che della formazione culturale di Peter Gabriel. Non è la prima volta (e non sarà l'ultima) in cui nelle creazioni gabrielliane si fanno riferimenti più o meno espliciti alle discipline filosofiche ermetiche (la cabala, l'alchimia, la sezione aurea). Nelle interviste a Gabriel è spesso emerso un passato di letture di Alchimia. In particolare dell'Aurora Consurgens, trattato attribuito a Tommaso d'Aquino e studiato (guarda un po'...) da Jung, altra fonte culturale alla quale Gabriel ha sempre attinto a piene mani. The Rhythm of the Heat, ad esempio, del 1982, è per stessa ammissione dell'autore ispirata dai Viaggi in Africa del grande filosofo tedesco. Inoltre, il suo essere inglese da cima a fondo, non gli ha certo fatto venir meno la lettura dei classici di Dee e Fludd, noti esoteristi, oltre che di Blake e Yeats.
Questo post non vuole essere un trattato di filosofia e neanche di letteratura. Starà a voi scoprire questo livello di lettura così profondo attraverso lpanalisi dei testi di The Lamb. Vedrete che vi si spalancherà un mondo segreto (un Secret world, per citare ancora Gabriel) dentro cui nessuno ha mai imparato a muoversi con disinvoltura e che, proprio per questo, vi trascinerà dentro di sè facendovi smarrire il vostro (di sè), per poi restituirvelo all'uscita sotto forma di IT.

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