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The real thing

Creato il 23 novembre 2010 da Dallenebbiemantovane

Ci sono libri che catturano e rapiscono con il meccanismo del “c’era una volta”: si crea un magico, tacito accordo tra scrittore e lettore perché quest’ultimo sospenda la sua normale incredulità e si lasci trascinare in un universo alternativo le cui regole sono diverse da quelle che lo circondano quando si fa la barba davanti allo specchio.

E poi ci sono altri libri completamente diversi che si possono definire in un unico modo: the real thing. Opere il cui autore non ha avuto bisogno di esercitare l’immaginazione: si è trovato davanti una materia densa, abbondante e urgente, e chiedeva di essere raccontata al più presto e, soprattutto, non dimenticata.
Aria sottile è uno di questi.
Brivido lungo la schiena è la sintesi più onesta che si possa dare di una lettura del genere.

Non solo perché Jon Krakauer è un giornalista - lo è, e il libro è scritto come ci si aspetta che sia un buon reportage: accurato nei fatti, con brevi digressioni storiche e sociologiche, qualche descrizione.
Oggettivo no, non esiste il giornalista obiettivo: esiste il giornalista che evidenzia la distinzione tra le sue opinioni e i fatti narrati. A maggior ragione quando ha vissuto sul suo corpo la drammatica esperienza che va a narrare, e che, nelle intenzioni sue e di chi lo aveva spedito in Nepal, doveva essere solo il resoconto di una spedizione commerciale, dare lustro al capoguida neozelandese Rob Hall e insomma, essere giudicata da fuori.
Naturalmente l’allora quarantunenne e fuori forma Krakauer, discreto alpinista sin da bambino, sogna da sempre la vetta più alta del mondo: non è diverso dai miliardari, dai chirurghi, dai giocatori di golf e dai pensionati che affollano il Campo Base. E decide di fare tutto quello che faranno gli altri del suo gruppo, fino alla cima.
Il giornalista ha sempre le sue opinioni, la differenza sta tra chi non le nasconde e chi sì, a vari gradi: Krakauer sa sottilmente influenzare il lettore con passi di hemingwayana neutralità apparente in cui in realtà il giudizio positivo o negativo su vari personaggi, coraggiosi o bizzarri o disonesti o altruisti o egocentrici o spavaldi, è netto e visibilissimo in controluce ed emerge semplicemente dal racconto dei loro comportamenti.

Ma anche perché Krakauer è anche coprotagonista degli eventi che narra. C’era anche lui alle pendici dell’Everest quel 10 maggio 1996 e nei due mesi precedenti.
A quanto pare l’articolo che fece uscire subito dopo il suo ritorno negli Usa, e questo libro del 1997 poi, hanno fatto incazzare un sacco di gente, superstiti o parenti dei caduti.
Io, naturalmente, sono tra quei milioni di lettori che invece lo ringraziano per averci dato quest’opera. Opera che non pecca assolutamente di voyeurismo, ma che si capisce come possa aver dato fastidio a singoli e associati, visto come mette il dito in molte piaghe e piaghette del mondo dell’escursionismo ai massimi livelli.

E’ chiaro che, nel continuum che va dagli amanti degli sport estremi a coloro il cui ideale di vita è divano-gatto-tè-libro, io mi colloco molto vicina al secondo estremo.
E’ altrettanto chiaro che se oltre che pigra sono anche nata e vissuta all’incirca sotto il livello del mare, un trekking sul monte Baldo o sull’altipiano di Asiago ogni tanto è tutto quel che chiedo alla montagna.

Anzi no, non è vero: ricordo escursioni stupende sul Monte Bianco (raggiunto in funivia), sul Pico del Teide (auto per lo più), nell’incantevole parco del Gran Paradiso (trekking ma non sulla vetta) e sul Cervino (idem). Amo la montagna, non amo la fatica, salvo momenti di superenergia.

Di conseguenza, e lo scrivo consapevole dell’estrema soggettività delle mie affermazioni, per me è non solo raccapricciante e sintomo di insoddisfazione esistenziale e di ricerca artificiosa dell’adrenalina, mettere in pericolo la propria vita in certi modi, ma anche qualcosa contro natura: mi turba leggere la descrizione dei sintomi fisici che già a quattro-cinquemila metri prendevano alpinisti esperti (congelamento, ischemie, trombosi, epistassi nasale, emicranie lancinanti, e mi fermo qui ma ce ne sarebbero altre) e vedere che, nonostante tutto, costoro proseguivano, tenevano duro, soffrivano il freddo, la fatica, i disagi pur di coronare il loro sogno.
Sogno per cui pagavano cifre ragguardevoli, e che in molti casi si erano già visti sfuggire per un soffio in una spedizione precedente.

Lo confesso: certe cose non le posso capire, ho i miei limiti.
Però questo libro (Suave, mari magno turbantibus aequora ventis / e terra magnum alterius spectare laborem), dalla mia poltrona, riscaldamento acceso, una tazza bollente di tè accanto, senza sherpa a servirmelo, ma con i gatti che corrono per casa, è stato un’esperienza unica.

PS: sono due notti che sogno di essere "lassù". Stanotte, ben tre volte.
Stamattina nevica fine fine e, chiudendo la zip del piumino, mi sentivo come uno che parte senza sapere se tornerà (sto andando semplicemente in ufficio a piedi).
Poi dicono che i libri non ti cambiano la vita.


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