Doctor Who?…
Questa la domanda che da generazioni affligge quella che, a tutti gli effetti, è la serie televisiva più longeva della storia. Una domanda che diventa protagonista di nuovo in questo, ormai conclamato, appuntamento natalizio.
In realtà gli ultimi tre episodi trasmessi (The name of the Doctor, The day of the Doctor e quest’ultimo) formano, nel loro piccolo, una trilogia interamente incentrata sullo stesso concetto: il nome del Dottore. Nome che, come ogni appassionato sa, è sconosciuto e solo pochi personaggi all’interno della serie conoscono.
Se il finale della settima stagione aveva lasciato l’amaro in bocca, amaro che è stato addolcito dallo speciale per il cinquantenario, mi rammarica dover ammettere che questo special di Natale non ha regalato quell’epicità che in molti si aspettavano.
Non voglio fare spoiler, quindi cercherò di limitarmi nel parlare di questo episodio, ma visto che so già che non sarò così bravo vi avverto fin d’ora: se non volete rovinarvi la visione, non continuate a leggere.
Io vi ho avvertito…
The time of the Doctor si apre con uno degli incipit più classici: da un pianeta sconosciuto proviene un segnale, inviato in ogni angolo dello spazio e del tempo. Nessuno sa come interpretarlo, nemmeno il Dottore (aiutato stavolta da nientemeno che una testa di Cyberman), ma ogni razza esistente si è precipitata in orbita e attende. Il pianeta è stato interdetto dal Mainframe Papale, una sorta di protettore universale, capitanato da Tasha Lem, a quanto pare una vecchia conoscenza del Dottore.
Sarà proprio su questo pianeta, che si rivelerà essere Trenzelore (la tomba del Dottore), dove molti dei nodi apparsi in questo ciclo di episodi verranno svelati. La maggior parte dei problemi di questo episodio (e, se vogliamo, delle ultime tre serie) risiede proprio in questi nodi, nella gestione dell’intreccio su larga scala, punto in cui Moffat si è dimostrato carente svariate volte.
Certo, c’è da dire che aveva fra le mani una situazione complicata da gestire. Le rigenerazioni del Dottore sono terminate e il come si sarebbe ovviato a questo limite era una curiosità che affliggeva ogni appassionato. E visto che tutti sapevano già dell’ingresso di Peter Capaldi come nuovo Dottore, era facile aspettarsi una soluzione degna di essere definita tale.
Se la prima parte dell’episodio prosegue senza troppi scossoni, e dalla metà in poi che le cose si fanno caotiche.
Il dottore invecchia, costretto a difendere il pianeta dall’attacco di Dalek, Cyberman, Slitheen e così via, e non potendosi più rigenerare passa secoli scolpendo giochi in legno e cercando di mettere una pezza alle sempre più numerose intrusioni aliene.
Dall’altro lato abbiamo Clara, splendida, che risulta più un pacco sballottato in giro per l’universo che un personaggio con un ruolo ben preciso. E il suo ultimo atto di coraggio, che permette al Dottore di tornare quello che era un tempo, non basta a risollevare una parte che manca di profondità.
È proprio lei, infatti, che riesce, non si sa come, a regalare al Dottore un nuovo ciclo di rigenerazioni. Cosa dire?
Mi aspettavo di più e seppur non voglia dire che questo episodio sia interamente da buttare, termina così com’era iniziato: in silenzio.
Matt Smith non è mai stato uno dei Dottori più amati, questo lo sappiamo tutti, ma credo meritasse di più, soprattutto nel suo ultimo episodio.
Per il resto… be’, Peter Capaldi appare nel finale, dice un paio di battute e poi nulla. Ma devo ammettere che la sola espressione che regala in quei pochi secondi fa ben sperare nel futuro della serie.
Intanto aspettiamo, e chissà che un volto nuovo non ridoni linfa a questa serie.
Se lo meriterebbe.