Magazine Cinema
Mai per soldi sempre per amore.
Dalla frase di lancio del film.
Tre anni dopo il trionfale successo critico e di pubblico, oltre a l'ulteriore e decisa affermazione anche internazionale de “Il Divo” ('08), torna quello che è con poche possibilità di smentita né alternative, il migliore e più personale regista italiano degli ultimi anni, nel suo primo film “americano” e girato interamente in lingua inglese.
Paolo Sorrentino quindi, ci presenta il personaggio di Cheyenne (Sean Penn), una rock star annoiata e invecchiata molto male, tant'è che non ha nemmeno più preso una chitarra in mano da 20 anni. Guadagnando comunque miliardi dai diritti d'autore, vive in un molto appartato castello elisabettiano a Dublino con sua moglie Jane (Frances McDormand), che inspiegabilmente continua pure ad esercitare la sua professione di vigile del fuoco (!). La sua migliore amica è invece un' adolescente gothic una volta si sarebbe detto dark, di nome Maria (Eve Hewson, figlia di Bono degli U2), e sempre insieme a lei Cheyenne va costantemente a fare spesa con il trolley al vicino centro commerciale. Quando il punto più emozionante e imprevisto della giornata è essere insieme a Jamie Oliver che sorreggendo una carota vi trova ossessionato dal sesso com'è, un pene, pretendendo anche di riderci sopra, allora è sicuro che si possa dire che il nostro protagonista si senta molto annoiato. La scossa di cui Cheyenne aveva bisogno da troppi anni arriva alla notizia che suo padre sta per morire. Partito in viaggio per New York (rigorosamente in nave, perchè da troppi anni ha maturato una fobia tale che non lo fa più volare), ovviamente arriva così tardi che suo padre è già deceduto.
Attraverso gli scritti e le lettere di testimonianze lasciate da suo padre, Cheyenne conosce l'amico e famoso cacciatore di nazisti Mordecai (Judd Hirsch, grande attore americano di teatro il quale ha vinto più di un Tony award, ma anche di molto cinema anni' 70 e di tv, fu candidato all'Oscar come Miglior Attore Protagonista insieme a Timothy Hutton per “Gente comune” (Ordinary People) ('80) di Robert Redford, ed era tra l'altro il detective Dominic Delvecchio nella splendida serie poliziesca “Delvecchio”('76/'77) di Steven Bocho), e scopre che suo padre aveva passato molti anni della sua vita cercando di rintracciare una delle guardie naziste, che lo aveva tormentato nel campo di concentramento di Auschwitz. Nel tentativo di riconciliarsi con la memoria del padre, Cheyenne parte per un viaggio lungo l'America per rintracciare Aloise Lange che pare essere sempre vivo 95enne (Heinz Lieven, bravissimo), stavolta per sempre.
“This Must be the Place” attraversa diversi generi, tenendo per ogni sotto-trama che nasce dal suo viaggio sulle strade americane, un'affascinante architettura ad incastro con eventi narrati del passato e all'origine delle storie, oltre ad essere un po' - ma solo all'apparenza -, un thriller di vendetta. Questi elementi si fondono abbastanza bene, alimentando il tutto e alimentandosi un l'altro in diversi punti del film. Cheyenne aveva quindici anni quando decise che suo padre non lo amava e che da lì in avanti avrebbe indossato un sacco di pesante make-up dark alla Robert Smith dei The Cure al quale è più che ispirato. E nonostante ora abbia raggiunto oltre la mezza età, non si è da quel punto della sua vita praticamente più sviluppatosi emotivamente. Conciliando adesso sé stesso con la memoria del padre, dovrà rintracciare Lange, per poi sperare finalmente di incominciare a crescere. La sua trasformazione fisica, alla fine del film suggerisce ulteriormente questo aspetto, che finalmente sia diventato ''un uomo''. Questa trasformazione è naturalmente aiutata dal suo viaggio lungo le strade e gli incontri di un'America rurale un po' come il personaggio di Travis/Harry Dean Stanton, che proprio citandolo, è presente anche in questo film in una breve apparizione -tra l'altro nei panni di un personaggio veramente esistente-, e cioè un' altro importante film “americano” di un regista europeo allora in piena affermazione, “Paris, Texas” ['84] di Wim Wenders) come adesso che ha un sacco di tempo da dedicare a se stesso e al suo nuovo trovato scopo, essendosi ritrovato solo di fronte alla tragedia a cui era sopravvissuto il suo separato padre.
All'inizio del film, interamente ambientato a Dublino, nessuno dei temi di cui sopra sono esplorati. Sembra un lunghissimo tempo di attesa, per impressionare davvero il pubblico su come e quanto annoiato e senza direzione si senta il miliardario Cheyenne. Siamo introdotti a Jane, Mary, e Desmond (Sam Keeley), pretendente sfortunato di Maria, oltre a un paio di trame laterali. Maria e Desmond potranno mettersi insieme come Cheyenne vorrebbe, oppure no. Mentre Tony, il fratello di Maria, è scomparso andandosene via di casa senza lasciare detto niente. La loro madre (Olwen Fouere) è ovviamente per questo molto sconvolta e angosciata. Ma non appena Cheyenne va in America, questo è tutto apparentemente dimenticato. C'è una breve telefonata o due, ma proprio come il film si sentiva che stava andando in tutta un'altra direzione, esso ne tira fuori uno completamente diverso. Questo è, ovviamente, più aderente alla vita reale, ma si percepisce che rende il film un po 'sconnesso. Mentre Cheyenne sta prendendo a prestito un pick -up da Ernie Ray (Shea Whigham, il fratello di Steve Buscemi/Nucky Thompson in “Boardwalk Empire”, grandissimo attore per ruoli di duro e cattivo, che sta diventando sempre più attivo e richiesto) per non lasciare tracce con il noleggio di un'auto, o è costretto a riprendere in mano la chitarra per il figlio fobico e ciccione di Rachel (Kerry Condon), ma ovviamente gli è difficile da dimenticare che è già passata una settimana di tempo da che è partito lasciando sua moglie in Irlanda, e che questo è un tempo molto lungo per lui che non si è mai separato da sua moglie negli ultimi trentacinque anni.
“This Must be the Place” è un brano sempre fantastico, ed è sempre stato un pezzo molto cinematografico (l'anno scorso ha fatto parte anche della o.s.t. di “Wall Street: Money Never Sleeps” ['10] di Oliver Stone).
Tutte le sequenze di raccordo con paesaggi rurali e squarci della provincia americana sono bellissimi e non indulgenti, mentre la performance nel film (colonna sonora interamente quanto mai strepitosa e variegatamente dotta e di gran gusto, espressione di grande conoscenza personale della musica e dei suoi generi, come sempre per Sorrentino) di David Byrne -che interpreta se stesso- di “This Must be the Place” è impressionante da guardare e ascoltare e tra i momenti che rimangono di più dell'intero film, quasi al livello inventivo di “Stop Making Sense” ('84) di Jonathan Demme.
Sulla sua ricerca di Aloise Lange, tutto diventa però un po' troppo facile e conveniente per le esigenze della storia. Cheyenne è in grado di completare in un tempo relativamente breve ciò a cui suo padre aveva dedicato gran parte della sua vita. Questo richiede un poco di sospensione della verosimiglianza, soprattutto perché Cheyenne sembra così debole e debole di volontà, all'inizio del film.. Nel culmine della caccia al nazista, decenni di dolori non soffocati si riaffacciano, così come le difficoltà per ottenere un risultato per ciò che Cheyenne sta cercando di raggiungere, con le sue iniziative
A parte questo, Sean Penn imprime una forte e memorabile interpretazione al ruolo di Cheyenne. Mascherato dal trucco e dai capelli cotonati, ridacchia e fa le fusa per tutta la tradas che percorre attraverso il film, sconfinando avvolte nell'esagerazione e nel gigionesco, ma è sempre molto 'divertente, anche se certo non del tutto credibile. Frances McDormand è abbastanza sprecata, in quanto il suo tempo sullo schermo è alla fine poco. Sullo schermo, però, è sempre gradevole e sensibile, fornendo un solido appoggio come sua moglie Jane, ad un Cheyenne altrimenti sempre più perduto in un vuoto sfaldamento esistenziale. Judd Hirsch è sempre piacevolissimo da guardare nelle sue interpretazioni, qui come un nodoso, mai pronto ad andare in pensione-cacciatore di nazisti (anche se si invecchia, nel film sostiene di avere 79 -improbabilissimi- anni; sembra disapprovare Cheyenne tanto che la loro collaborazione da coppia “byddy -buddy” è anch'essa divertente e mai troppo prevedibile o scontata. Hirsch aggiunge molta serietà alla trama rientrante nel filone “nazista” di nuovo in auge, nelle ultime stagioni cinematografiche, essendo abbastanza scorbutico per frenare il film affinchè non scada mai in una parodia farsesca. Molto interessante dopo quella di Judd Hirsch anche la presenza di Joyce Van Patten/Dorothy Shore, a testimonianza della conoscenza di Sorrentino del cinema e delle serie tv americane degli anni '60 e '70.
“This Must be the Place” è un film molto bello e quindi visivamente piacevole da guardare, con ottime interpretazioni per dialoghi e personaggi, eccellentemente scritti e caratterizzati da un Sorrentino oramai abile come narratore e scrittore-autore, quanto come stilizzato impaginatore di immagini sempre molto personali, in grado quindi su supportare sempre con storie interessanti la sua oramai affermata maestria stilistica ed espressiva. Non sempre sembra però sicuro della direzione da far intraprendere al film e alla sua storia o a ciò che sta cercando di dire, e nel tentativo di affrontare molti argomenti e tematiche, si avverte come un po' di artificiosità.
“This Must be the Place” era in origine anche il titolo per la commedia teatrale d'estate di Sam Mendes, ”Away we Go”.
Napoleone Wilson
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