Vi sono bambini impavidi, spregiudicati, che vivono le situazioni nuove come stimolanti ed eccitanti, sempre in prima linea quando si tratta di affrontare nuove sfide.
Ve ne sono altri invece, che preferiscono posizioni meno primeggianti ed alle glorie di un leader, preferiscono il più rassicurante ruolo di osservatore...
Si tratta di bambini che nelle situazioni sociali sin da piccolissimi cercano conforto fra le gambe del genitore, poco avvezzi all'arte dell’intrattenimento preferiscono invece fungere da cornice alla situazione sociale.
In genere, l’atteggiamento dell’adulto che sino all'età di tre anni del bambino poteva essere di accettazione e protezione, dopo i quattro anni inizia ad esprimere preoccupazione e disagio, manifestato spesso attraverso sollecitazioni più o meno esplicite rivolte al figlio: “rispondi! saluta! vai a giocare!”, appellativi e paragoni (a volte utilizzati inconsapevolmente): “fifone! non essere timido! non fare come al solito! guarda i tuoi amichetti come sono bravi!”, che implicitamente significa: non sono sbagliati come te.
Vi sono invece adulti che magari, rileggendo la timidezza del proprio piccolo come una caratteristica che ha contraddistinto la loro stessa infanzia, si dimostrano molto più tolleranti e meno interventisti, mostrando una rassegnata accettazione rispetto alla soggettività del bambino. Questo non significa, però, che ciò non possa rappresentare anche per loro una fonte di preoccupazione. La domanda più frequente che un genitore si pone è: “perché mio figlio è tanto insicuro? È colpa mia?”
Partiamo da un’importante premessa. Il grado di timidezza che un bambino presenta nell'infanzia e magari per tutto il resto della vita, dipende in larga misura da fattori genetici. Studi neurologici hanno dimostrato come il cervello di persone timide risponda, in termini fisiologici, in modo diverso agli stimoli nuovi, rispetto a persone estroverse. Vi è quindi, fra le due categorie, un modo diverso di elaborare i cambiamenti.
Quanto detto non esclude però la possibilità che un genitore possa fare molto per migliorare le cose.
Vediamo come:
- Evitate di caricare di contenuti ansiogeni ogni sua manifestazione comportamentale che possa essere letta come timidezza, inibizione, insicurezza.
- Siate molto pazienti, rispettando il suo ritmo di adattamento alle situazioni nuove.
- Evitare etichettamenti quali “sei timido! hai paura di tutto! sei imbranato!”. Il rischio che si corre in questi casi, è quello della “profezia che si auto-realizza”, ossia il bambino, con molta probabilità, finirà per interiorizzare quell'immagine (negativa) che il genitore stesso gli ha suggerito.
- Se sentite il bisogno di commentare la sua timidezza/insicurezza o confrontarvi su questo argomento con altri adulti, accertatevi sempre che vostro figlio non senta. Parlarne in sua presenza porterebbe paradossalmente ad alimentare la difficoltà più che a risolverla.
- Attenzione alle migliori intenzioni che spesso sortiscono gli effetti peggiori. Evitate di spronare vostro figlio a “fare”, col solo fine di rassicurarvi in merito alle sue abilità socio-relazionali. Avete mai osservato l’effetto devastante che una frase come “non essere timido!” o “dì qualcosa!” sortisce su una persona introversa?
- Favorite le occasioni sociali in luoghi inizialmente familiari al bambino, magari a casa sua, invitando qualche amichetto per una merenda. La familiarità della situazione è un requisito fondamentale affinché il bambino possa liberarsi dalle proprie inibizioni.
- Accettatelo per come è! L’accettazione da parte del genitore rappresenta le fondamenta sulle quali il bambino costruirà il proprio senso di sicurezza e la fiducia nelle proprie capacità.