29 novembre 2013
5 curiosità sul Torino Film Festival
E’ partita ormai da giorni l’edizione numero 31 del festival più serio, e mai serioso, dello Stivale: attento agli autori e in particolar modo alle opere prime e seconde, il Torino Film Festival si sta dimostrando fedele ai suoi intenti. Niente vetrine, lustrini e red carpet: tutta l’attenzione è dedicata ai film, agli incontri e ai dibattiti in sala.
Di seguito 5 curiosità sul Festival:
1. Il direttore: Paolo Virzì, come lui nessuno mai. D’accordo, Torino è famosa per avere direttori di festival più che carismatici. Se nelle annate precedenti si sono alternati Nanni Moretti e Gianni Amelio, questa volta è toccato a Paolo Virzì fare gli onori di casa, e il registra toscano ha preso il compito alla lettera. Instancabilmente presente ad ogni singolo evento del festival, ne è punto di riferimento e sorridente guida. I ragazzi lo fermano con tanto di programma in mano per chiedergli indicazioni sui film, lui distribuisce battute, si ferma a chiacchierare, stringe la mano di persona agli autori, scherza con i giornalisti e poi scrive una multa/commento di suo pugno ad una automobile che ostruisce il passaggio alla delegazione artistica. Un esempio innovativo di direttore artistico, deciso a stare tra la gente, per rendere concreto il significato di cinema come arte collettiva e di condivisione.
2. Gli incontri. Visto che di condivisione si tratta, non possiamo non dire che ad animare il Torino Film Festival sono anche gli incontri, due dei quali è stato lo stesso Paolo Virzì a moderare: quello con l’amico di una vita Francesco Bruni, regista di Scialla, e quello con l’attrice Alice Rohrwacher, che ha parlato del suo nuovo film dal titolo Le meraviglie, per cui ha diretto, tra gli altri, sia la sorella Alba che l’attrice Monica Bellucci.
3. La giuria. Fanno parte della giuria di quest’anno lo sceneggiatore e regista messicano Guillermo Arriaga, lo scrittore americano Stephen Amidon, la regista e sceneggiatrice bosniaca Aida Begić e Francesca Marciano, una delle nostre sceneggiatrici più quotate, senza dimenticare l’icona del cinema cubano Jorge Perugorría. Così Arriaga in conferenza: “Di questo festival apprezziamo la volontà di recuperare l’importanza della scrittura come base dell’arte cinematografica. Attualmente assistiamo sempre più ad una costante perdita di comunicazione tra gli individui: non siamo più capaci di raccontare storie, probabilmente perché oramai abbiamo abbandonato il nostro mondo interiore”.
31TFF – Torino Film Festival
4. Il concorso. Una bella selezione, per ora, quella del 31mo festival di Torino: si va dalla triade francese 2 automnes 3 hivers di Sébastien Betbeder, Vandal di Hélier Cisterne e La bataille de Solférino di Justine Triet agli americani Blue Ruin di Jeremy Saulnier e C.O.G. di Kyle Patrick Alvarez. Sul versante cinema orientale, la Corea del Sud propone Bulg-eun gajog (Red Family) di Ju-hyoung Lee, mentre il Giappone si fa avanti con Junichi Inoue e il suo Sensô to hitori no onna (A woman and war). Una escort al karaoke è la protagonista del thailandese Sao Karaoke (Karaoke Girl) di Visra Vichit-Vadakan, mentre un ragazzo dalla chioma ribelle sogna un futuro da cantante (con i capelli lisci) nel venezuelano Pelo Malo di Mariana Rondón. Last but not least il messicano Club Sándwich di Fernando Eimbcke, il canadese Le démantèlement di Sébastien Pilote e lo spagnolo La Plaga di Neus Ballús. E poi, naturalmente, gli italiani.
5. I film italiani. Grande spazio ai film italiani in concorso e tra le sezioni collaterali. In gara ce ne sono ben due, diversissimi tra loro, eppure uniti dal filo rosso della memoria e del recupero di materiale di archivio come base del lavoro cinematografico. E’ senz’altro il caso del documentario Il treno va a Mosca, firmato a quattro mani dai giovani Ferrone e Manzolini, che racconta la storia del barbiere Sauro di Alfonsine e con lui un Paese che credeva nella forza di un ideale. L’utopia, la delusione, la memoria, sono elementi costitutivi di un film che si forma a partire da una pesca a mani basse in tre archivi di film amatoriali, inseriti in un contesto narrativo che fa della musica e del silenzio i suoi punti forti. Ben diversa la commedia emozionante di Pif, La mafia uccide solo di estate. Lì il materiale d’archivio è continuo scenario e contesto: le stragi di mafia, i funerali di stato, agghiaccianti omicidi a cui siamo abituati e che il film ha il merito di riproporci sotto altra forma, raccontando con toni lievi la storia di un ragazzo cresciuto a Palermo, sempre accompagnato suo malgrado da accadimenti di mondo mafioso. Un film che si finge commedia per arrivare a tutti e strappare un sorriso, ma che in realtà si rivela un utile spunto per riflettere sulla vita di quanti, ogni giorno, scelgono di combattere la mafia e insegnare ai figli il valore inestimabile della legalità.
Di Claudia Catalli per Oggialcinema.net
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