di Cristiano Abbadessa
Da una parte mi viene in mente lo sketch in cui Caterina Guzzanti, nel programma Un due tre stella, fa la parodia di uno spot dell’immaginaria (ma riconoscibile) linea aerea low-cost BrianAir, in cui tutti i servizi opzionali rispetto al costo base di “nove euro e novanta” (e i servizi opzionali vanno dal sedile alla mascherina per l’ossigeno) vengono proposti al costo aggiuntivo di “nove euro altri e novanta” (a volte, di “novanta euro altri e novanta”). Dall’altra mi scorrono sotto gli occhi i cataloghi editoriali coi relativi prezzi, e soprattutto mi viene in mente la disinvoltura con cui, in un contesto teoricamente “critico” e smaliziato come la presentazione del festival dei blog letterari, ho sentito discettare di nuovi prodotti editoriali da mettere in vendita “a quattro e novanta”, senza un filo di ironia e come se si stesse declinando la desinenza inevitabile per qualunque prezzo.
È una delle prime scelte etiche che, come Autodafé, abbiamo ritenuto di fare: i nostri libri dovevano esser venduti a un prezzo pieno, che poteva essere di 13 o di 15 o di 16 euro a seconda dei casi, ma sempre seguito da un eloquente virgolazerozero. E, sinceramente, devo dire che l’ho imposta come condizione irrinunciabile per dare un segnale di serietà, ritenendo cialtronesca e fastidiosa la moda, tutta americana ma ormai importata, di vendere qualuque prodotto a tot vigola novanta, quando non si raggiunge la sfacciataggine del tot virgola novantanove che caratterizza, per esempio, i cataloghi degli e-book (dove, al massimo, in ragione dei prezzi più bassi abbiamo accettato di fissare qualche prezzo a virgolacinquanta).
All’inizio, al nostro interno, c’è stata qualche perplessità: alcuni ritenevano che il prezzo virgolanovanta fosse ormai obbligatorio, altri non reputavano la questione particolarmente significativa e degna di discussione. Per me, invece, è un indicatore del modo di porsi di fronte al cliente (lettore e non): tentare di sedurlo e abbindolarlo ricorrendo a qualsiasi mezzuccio, oppure approcciarlo con una proposta onesta, schietta e chiara.
Se ci pensate, nessuno, guardando in faccia l’interlocutore, avrebbe mai il coraggio di avanzare un prezzo così maleodorante di paraculaggine. Chi vende un’auto usata a un conoscente può magari partire dalle valutazioni delle riviste specializzate per poi andare ad arrotondare in cifra tonda; ciò che vale, poniamo, tre mila e sette euro può essere proposto per tremila e cinquecento, e la seduzione sta in quello sconto che arrotonda. Logica che si applica anche tra non conoscenti, magari in un mercato dove dai 33 euro ci si fa fare uno sconto fino ai 30. Ma sempre alla cifra tonda e schietta si tende, perché, guardandosi e parlandosi di persona, nessuno avrebbe mai la faccia tosta di dire “vabbé, facciamo ventinove e novanta”.
Eppure, quando il prezzo diventa di listino, la regola del virgolanovanta(nove) sembra imperare come inevitabile elemento della strategia di vendita.
Molti, probabilmente, non ci fanno neppure caso: arrotondano mentalmente all’unità superiore e la cosa finisce lì. A me, invece, resta il fastidio del veditore che mi si propone con atteggiamento da magliaro. Per cui, se posso scegliere, il prodotto a virgolanovanta lo lascio dove si trova. E, raccontandolo, spero che a qualcuno venga la voglia di imitarmi.