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Tra Carver e Dostoevskij

Da Marcofre

Immergersi ancora nei racconti di Raymond Carver è sempre corroborante. Dopo aver terminato di rileggere “I Demoni”, spostarsi su “Da dove sto chiamando” fa un certo effetto.

Si sente un certo attrito tra lo scrivere dell’autore russo e quello statunitense, e non è dovuto solo al fatto che si tratta di personalità diverse e distanti. Il mondo che rappresentano è cambiato in maniera drammatica. In Dostoevskij i personaggi andavano a caccia di senso, cercavano di dare alla loro vita una direzione.

Soprattutto ne “I Demoni”, troviamo dei personaggi che aggrediscono. Hanno idee, e per quelle sono disposti a tutto. In Carver, i personaggi cercano di arrivare alla fine della giornata.

Eppure sono due autori legati strettamente l’uno all’altro. Come Cormac McCarthy è legato a Flannery O’Connor, e il killer di “Non è un paese per vecchi” può essere il nipote del balordo che in “Un brav’uomo è difficile da trovare” della O’Connor stermina un’intera famiglia. Così “I demoni” di Dostoevskij sembrano essere riusciti nell’impresa. Che era di rendere l’essere umano sperduto e debole, un detrito che mira solo ad approdare su una spiaggia.
Ne “I Demoni” assistiamo al posizionamento della bomba. Nei racconti di Carver, vediamo gli effetti dell’esplosione di quella bomba.

Per questa ragione la scrittura dovrebbe prestare cura e compassione per questi personaggi. Per queste erbacce. Forse si può semplicemente ricordare e ricordarci che anche le erbacce hanno una dignità. E da lì ricominciare a immaginare qualcosa di meglio.


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