Magazine Lavoro
La disputa di queste ore nella Cgil sulle nuove norme per la rappresentanza non ha il sapore della novità. È uscito proprio in queste ore un volume Ediesse: La contrattazione collettiva in azienda. Una storia sospesa. Qui si racconta una specie di duello a distanza tra il sindacato dei lavoratori chimici, descritto dall’autore Franco Farina come innovativo e duttile, e il sindacato dei metalmeccanici visto come rigido e conservatore. Quel termine «sospesa» è riferito alla «contrattazione collettiva aziendale» che ha avuto, negli anni, un percorso accidentato, sfavorito da accordi di centralizzazione. Eppure oggi potrebbe aprirsi, secondo l’autore, par di capire, una fase nuova, malgrado la crisi. E magari, aggiungo io, per dar spazio a quella contrattazione capace di includere anche i precari, gli atipici.
L’autore parte da un accordo interconfederale Buozzi-Mazzini del 1943. La discussione è subito accesa. L’articolazione contrattuale è considerata «divisiva, fonte di corporativizzazione». Così il primo Congresso della Cgil unitaria (1947), punta sul piano per la ricostruzione dell’Italia e configura una struttura contrattuale «esclusiva e accentrata». Con le categorie obbligate a sottoporre le rivendicazioni all’approvazione della Confederazione.
E nel Congresso di Genova, nel 1949, Luciano Lama dichiara che «in questo momento noi non siamo favorevoli all’istituzione dei sindacati in azienda». La svolta è negli anni 50 con la sconfitta alla Fiat e l’autocritica di Di Vittorio e il cosiddetto «ritorno in fabbrica».
Con un punto di approdo al quinto Congresso della Cgil (1960) a Milano. Al sesto Congresso a Bologna nel 1965 si discute di accordo quadro, di politica dei redditi. Arriviamo così al 1968, alle grandi vertenze contrattuali, all’autunno caldo. Con i metalmeccanici (a dire il vero) all’avanguardia nella conquista d’intese aziendali e di prime nuove rappresentanze aziendali unitarie. Il settimo congresso della Cgil (Livorno 1969) discute dei cambiamenti. Mentre al Congresso Cgil di Bari nel 1973 si propone «la saldatura tra le politiche contrattuali, aziendali e le riforme». Perché «rinchiudere i lavoratori all’interno delle fabbriche impiegando il potenziale combattivo delle masse su una linea puramente rivendicazionista a livello aziendale o portare le masse a lotte frontali, per obiettivi generici che escludono scelte di priorità e anche gradualità nei tempi, significa illudere le masse lavoratrici e preparare la sconfitta dell’azione di classe». Una linea perseguita con difficoltà finchè al congresso di Rimini del 1977 Luciano Lama dichiara che «poiché la scelta degli investimenti e dell’occupazione è quella prioritaria ogni altra rivendicazione, pur legittima, deve essere, a questa scelta, nettamente subordinata».
È la premessa alla svolta dell’Eur del 1978, preceduta da un’intervista dello stesso Lama a la Repubblica. È la linea dei sacrifici in cambio di occupazione che fallisce a causa del «mancato supporto politico». Ed è a questo punto che appare evidente, secondo Farina, la diversità di approccio tra chimici e metalmeccanici. Ovvero tra flessibilità contrapposta a rigidità. La polemica passa attraverso la sconfitta alla Fiat nel 1980: «una vertenza sbagliata, con forme di lotta errate».
C’è anche, da parte dei chimici, guidati allora da Sergio Cofferati, la richiesta di una riforma della struttura contrattuale non appoggiata da Bruno Trentin che incita a partire «dai pilastri», con un’allusione alle strutture sindacali aziendali, senza «tentare di partire dal tetto». E però Farina accusa poi lo stesso Trentin di aver dato spazio, con l’accordo del 1993, a «una riforma contrattuale centralizzata ignorando i pilastri su cui far perno per snellire la struttura negoziale e favorire la contrattazione aziendale». Una critica che Trentin ha sempre respinto sostenendo che quell’accordo prevedeva la diffusione del ruolo delle Rsu e salvava la contrattazione aziendale.
Ora siamo, comunque, in una fase nuova e il libro su questa «storia sospesa», può essere di stimolo al prossimo confronto congressuale Cgil. Se è vero, come sostiene Farina, che la riforma della struttura contrattuale è più che mai essenziale perché l’attuale rappresenta una «gabbia d’acciaio».
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