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Tra diritto e psicologia: l’audizione protetta del minore

Da Psychomer
by Chiara Polizzi on novembre 12, 2012

L’audizione protetta si contraddistingue da altri momenti di ascolto del minore in quanto non implica diagnosi, trattamento o assessment di alcun genere, ma prevede una particolare modalità di raccolta di testimonianze circa reati, soprattutto di carattere sessuale, subiti da minorenni, in modo tale che le loro dichiarazioni accrescano di elementi probatori le accuse mosse da giudici e avvocati; ci si trova, quindi, in un ambito che si discosta da quello psicologico, ma che riguarda invece il campo giuridico, in cui operano professionisti di formazioni differenti, con lo scopo di rendere qualitativamente migliori queste fasi estremamente delicate, sia per le tematiche trattate, che per la vittimologia che coinvolgono.

Essendo quindi uno strumento utile a fini giudiziari, l’audizione del minore non può che avvalersi di alcune regole di strutturazione, le quali sono rigide per quanto concerne la loro importanza e presenza all’interno del setting, ma contemporaneamente considerabili come flessibili, perché ben si adattano alle peculiarità e alle strategie tipiche di ogni conduttore. Tra le fasi discriminanti l’audizione si ricordano:

  1. La costruzione del rapporto: essa è fondamentale proprio perché il minore si trova in presenza di soggetti mai visti precedentemente, in un contesto a lui estraneo, non familiare, nel quale è chiamato a raccontare vicende intime, personali, dolorose, e da cui dipenderà poi la possibilità di narrare senza inibizione e senza la paura che le parole possano pregiudicare la sua condizione.
  2. La fase di narrazione libera: tale momento, prontamente introdotto dall’avvicinarsi al tema di indagine, è considerato come quello centrale dell’audizione, in quanto pare essere la modalità più efficace di raccolta dati. I suoi principali obiettivi prevedono la registrazione del maggior numero di informazioni possibili, in un racconto non condizionato da suggestioni, derivanti generalmente da una cattiva modalità di conduzione dell’ascolto; perché si tratti di racconto spontaneo, è importante che esso parta da quesiti molto generici e ampi, che lascino spazio al riemergere dei ricordi, senza interruzioni o tentativi di bloccare il flusso delle parole del minore, elemento probatorio maggiormente influente.
  3. Il questionning: è sempre utile approfondire il racconto del minore con una serie di domande, corte e semplici, ponendone una sola per volta, seguendo un modello a “imbuto”, dalle più generiche a quelle maggiormente dettagliate; il bambino deve poi prendersi del tempo per rispondere, senza che lo psicologo intervenga o cerchi di sollecitare un’interazione, interrompendo il soggetto. Potremmo dire che la fase delle domande specifiche permette di chiedere ulteriori spiegazioni e delucidazioni, soprattutto a scopo giuridico, per evitare che le parole del bambino possano esser soggette a varie interpretazioni e a distorsioni da parte della difesa.
  4. La chiusura o closure: tale momento di congedo è altrettanto delicato, in quanto dovrebbe riuscire a ripristinare un umore tendenzialmente sereno nel minore che ha, potenzialmente, appena dichiarato di aver subito un abuso, rivelazione che può averlo caricato di sentimenti negativi e difficili da gestire (anche quando la rivelazione non avviene lo stato di stress e tensione è elevato, poiché una mancata testimonianza non significa necessariamente che l’abuso non sia stato subito). Non è però compito dell’esperto, in tale sede, quello di contenere ansia e stress, se non mediante brevi e minimi interventi: una volta terminata l’audizione (causa ottenimento dello scopo o impossibilità a raggiungerlo), il protocollo va verso la sua conclusione, la quale verrà effettuata in modi e toni considerabili come empatici, di vicinanza al piccolo soggetto, ma mai mirati alla sua esplicita consolazione; sono invece ammessi rinforzi circa l’utilità delle dichiarazioni, con un particolare ringraziamento per essere stato estremamente coraggioso e disposto al ricordo di situazioni per lui dolorose.

È chiaro come tali passaggi non siano facilmente individuabili, in quanto tendono a intersecarsi e a fondersi in rapporto all’andamento dell’intervista stessa.

Insieme a tali aspetti, è importante porre l’accento su una serie di nozioni essenziali sia alla nascita di un rapporto di fiducia tra operatore e minore, sia alla preparazione di un clima di disponibilità, non giudicante e di serenità per il soggetto. Ecco perché l’operatore deve esplicitamente dichiarare quali siano le ragioni per le quali è fondamentale che il bambino dica la verità, raccontando ciò che sa e che ricorda: egli, come spesso viene sottolineato, è l’unico testimone dei fatti accaduti, colui che ne ha conoscenza e che può permettersi di dichiarare cosa sia successo, il come, quando, ecc. E’ lui il vero “onnisciente”, è lui che permetterà di scoprire la verità; è quindi fondamentale stilare metaforicamente un contratto con il quale sia il bambino che il conduttore si impegneranno a non mentirsi reciprocamente, a non dubitare delle parole dell’altro, a non forzare i ricordi quando questi sono nebulosi, cercando tuttavia di capire e comprendere al meglio (chiedendo anche ulteriori chiarimenti) il significato delle rivelazioni effettuate.


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