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Tra Sallusti e Carofiglio: il medioevo prossimo venturo

Creato il 26 settembre 2012 da Albertocapece

Tra Sallusti e Carofiglio: il medioevo prossimo venturoViviamo dentro l’assenza di qualsia etica e tuttavia siamo bizantinamente causidici. E in questi giorni oltre alle cronache del marciume politico, tengono banco la vicenda Sallusti che rischia la galera per omesso controllo di un pezzo diffamatorio e quella di Carofiglio, che ha chiesto i danni per le poco benevole parole di un critico. Travaglio sostiene che sarebbe esagerata la gattabuia per una colpa così lieve e indiretta di Sallusti, Massimo Fini dice che il reato c’è e che non si può pretendere che la casta dei giornalisti cerchi di sottrarsi in qualche modo alla legge. Oddio, a dire la verità vediamo all’opera la potenza e l’arroganza della casta dei magistrati visto che i diffamati sono un giudice tutelare nel caso di Sallusti e un magistrato oltre che politico prestato alla letteratura nel caso di Carofiglio. E chi ha fatto il giornalista sa bene di cosa parlo.

Ma non mi interessa entrare nel merito anche se allo scrittore suggerirei di risparmiare qualche prezioso albero e a Sallusti di essere un po’ più Libero dai suoi padroni e dalle loro ossessioni, di curarsi insomma il complesso del maggiordomo. Mi interessa invece da uomo della strada, privo di particolari cognizioni e sottigliezze giuridiche, rilevare che entrambe le vicende nascono da una particolare arretratezza del nostro sistema giuridico, poco incline a riconoscere come essenziale la libertà di espressione. Infatti al al contrario di quanto avviene in quasi tutto il resto del mondo, il reato di diffamazione (che ovviamente non va confuso con l’ingiuria o la calunnia) prescinde dal criterio di verità: che le affermazioni siano vere o false è un fatto del tutto secondario che può anche essere ammesso come argomento di difesa in casi particolari, se il diffamato è un pubblico ufficiale o se  egli stesso lo chiede. Cosa che a naso deve essere accaduta due o tre volte nella storia della repubblica. Ciò che conta è ledere la fama, l’onorabilità, il buon nome di qualcuno, in qualunque modo essa si sia formata come del resto dice il nome stesso del reato: diffamazione sta per togliere fama, de-famare.

Addirittura il codice penale esclude il diritto per l’imputato di provare la verità delle sue affermazioni e ammette semmai quello, derivato dal codice cavalleresco di risolvere la questione davanti a un giurì d’onore. E non si vede perché non con un duello all’alba davanti al convento delle carmelitane scalze.

Questo stravagante contesto, anacronistico rispetto alle dinamiche della vita democratica e medioevale rispetto a quelle dei nuovi mezzi di informazione, crea l’effetto che forse il codice Rocco si proponeva: un’ambiguità di fondo e una discrezionalità di giudizio e di azione che costituiscono una spada di Damocle sempre pronta ad abbattersi sul reprobo, uno strumento di pressione per controllare l’informazione, una minaccia perpetua contro i “ribelli” che rischiano di scrostare la vernicetta di immacolata rispettabilità di tanti. E così non soltanto ci accorgiamo di essere arretrati rispetto alle riforme di Tiberio   Gracco, ma di aver preso molto dalla Lex Cornelia imposta dal reazionario Silla. E’ del tutto impossibile conciliare tutto questo con il nuovo mondo dell’informazione,  nel quale la “verità” o la falsità dovrebbe essere il discrimine necessario, non fosse altro che per la straordinaria abbondanza di “comunicazione” che ci investe.

Ma insomma piano piano ci arriveremo: intanto dalla Repubblica siamo arrivati al basso impero, ora ci attendono i barbari e i secoli bui. Poi si vedrà.

 


Filed under: Giornali, Informazione, magistratura, Web Tagged: Carofiglio, Sallusti

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