Ora è chiaro, o per lo meno lo spero, che sia solo una questione di parole, che in una classe con 25 bambini, ma pur sempre classe, e soprattutto sotto l’occhio “vigile” delle maestre, dalle parole non si passi ai fatti e che quel bambino dica in realtà cose di cui ignora l’esistenza. In caso contrario potrei scatenare una guerra. L’istinto mi dice di intervenire in sua difesa, la ragione mi suggerisce di “no”, che se la deve vedere da solo e in un modo o nell’altro, sbrogliarsela. Mamma ci sarà sempre ma non può starti troppo vicino. Ultimamente prendo fuoco con facilità, sono spesso una mina vagante e se colpisco, faccio danni ma non riesco a capacitarmi che un treenne usi questo linguaggio, e spero che sia solo quello. Tuttavia a malincuore lo capisco, perché il consiglio che sento sempre più spesso ripetere dagli adulti è “Se ti picchiano, tu picchia più forte!” e una frase cosi, detta a un bambino piccolo, è un meteorite che cade sulla terra, distrugge il suolo che tocca e non permette più a nulla di crescere. Sono a metà tra il preoccupato e lo scocciato, si mi rompe che qualcuno si rivolga a mio figlio in quel modo. I genitori del “teppista” probabilmente no, e non ci credo che non sappiano o peggio ancora che non vedano e non sentano, che è colpa del mondo fuori che lo ha “rovinato” e che loro no, queste cose non le dicono. Ha poco più di tre anni ‘sto bambino. Comunque ora ho un problema, in più: capire se lasciar correre, intervenire, chiedere, come e a chi. Andare dalle maestre e palesare l’esistenza del “bimbo manesco” (e quindi fare la parte della mamma chioccia e scassap…e!), appostarmi dietro le finestre per scoprire la verità, o andare a prendere per il cravattino mamma e papà, e spero di scovare una soluzione perché non vorrei trovarmi impotente ad insegnare a mio figlio a picchiare più forte.
Ora è chiaro, o per lo meno lo spero, che sia solo una questione di parole, che in una classe con 25 bambini, ma pur sempre classe, e soprattutto sotto l’occhio “vigile” delle maestre, dalle parole non si passi ai fatti e che quel bambino dica in realtà cose di cui ignora l’esistenza. In caso contrario potrei scatenare una guerra. L’istinto mi dice di intervenire in sua difesa, la ragione mi suggerisce di “no”, che se la deve vedere da solo e in un modo o nell’altro, sbrogliarsela. Mamma ci sarà sempre ma non può starti troppo vicino. Ultimamente prendo fuoco con facilità, sono spesso una mina vagante e se colpisco, faccio danni ma non riesco a capacitarmi che un treenne usi questo linguaggio, e spero che sia solo quello. Tuttavia a malincuore lo capisco, perché il consiglio che sento sempre più spesso ripetere dagli adulti è “Se ti picchiano, tu picchia più forte!” e una frase cosi, detta a un bambino piccolo, è un meteorite che cade sulla terra, distrugge il suolo che tocca e non permette più a nulla di crescere. Sono a metà tra il preoccupato e lo scocciato, si mi rompe che qualcuno si rivolga a mio figlio in quel modo. I genitori del “teppista” probabilmente no, e non ci credo che non sappiano o peggio ancora che non vedano e non sentano, che è colpa del mondo fuori che lo ha “rovinato” e che loro no, queste cose non le dicono. Ha poco più di tre anni ‘sto bambino. Comunque ora ho un problema, in più: capire se lasciar correre, intervenire, chiedere, come e a chi. Andare dalle maestre e palesare l’esistenza del “bimbo manesco” (e quindi fare la parte della mamma chioccia e scassap…e!), appostarmi dietro le finestre per scoprire la verità, o andare a prendere per il cravattino mamma e papà, e spero di scovare una soluzione perché non vorrei trovarmi impotente ad insegnare a mio figlio a picchiare più forte.
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