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Trapani: Processo per l’omicidio di Mauro Rostagno (20)

Creato il 25 novembre 2011 da Diarioelettorale

Udienza del 23 novembre 2011 del processo per l’uccisione del sociologo e giornalista Mauro Rostagno avvenuta nel piccolo borgo di Lenzi, in territorio di Valderice la sera del 26 settembre 1988 ed in corso di svolgimento davanti alla Corte d’Assise di Trapani.

Alla sbarra il boss mafioso Vincenzo Virga e Vito Mazzara, per l’accusa, rispettivamente, mandante e killer dell’omicidio che sarebbe stato deciso per punire Rostagno per la sua attività giornalistica condotta attraverso l’emittente Rtc ‘Radio Tele Cine’.

Durante l’udienza viene esaminato il teste: Milazzo Francesco del 1948, di Paceco collaboratore di giustizia.

Il collaboratore Milazzo Francesco risponde al pm Gaetano Paci.

Il pm invita il collaboratore a ricostruire la propria storia.

Milazzo ricorda di essere diventato mafioso nel 1973. Appartenente alla famiglia di Paceco, ebbe il dito punciutu il rito si svolse in una proprietà di Mommo Marino uomo d’onore della famiglia di Paceco, vicino il cosidetto Ponte di Salemi, padrino fu Salvatore Giliberti anche lui della famiglia di Paceco.
Era presnete tutta la famiglia di Paceco, i Sugameli, i Marino, i Giliberti, prof. Maiorana, Vito Parisi, i due Coppola.

Fu affiliato quando aveva circa 25 anni e non era incensurato perchè aveva precedenti per furto di agnelli.

Il suo lavoro dapprima era di meccanico, poi coltivatore diretto.

Milazzo si è autoaccusato di alcuni omicidi, quello di Rindinella avvenuto a Guarrato, Di Maggio, Monteleone, dell’agente Montalto, e prima quello di Mancuso. Delitti commessi insieme ad altre persone. Milazzo fa i nomi come suoi complici di: Sugameli, Genova, Alcamo, Vincenzo Mastrantonio, Filippo Coppola, Vito Mazzara, Franco Orlando, Vito Parisi.
Normalmente in questi casi ha sparato ma in alcuni casi ha fatto da autista come nel caso del delitto dell’agente Montalto.
Uno che sparava sempre era Vito Mazzara, Franco Orlando, ex consigliere comunale Psi a Trapani, se c’era bisogno, dice il pentito, sparava anche lui.

Milazzo racconta che Vito Mazzara faceva parte della famiglia mafiosa di Valderice, dipendeva da Vincenzo Virga che era a capo del mandamento di Trapani e che però Milazzo chiama circondario in quanto comprendente Valderice, Erice, Paceco e Trapani .

A detta del Milazzo, Vincenzo Virga divenne capo mafia sul finire dell’85, prima di lui capo era Vito Sugameli della famiglia di Paceco, ma Sugameli sarebbe stato capo “pro forma” in quanto “tutto facevano i Minore” (Calogero, Totò, Giovanni).

Il capo mandamento veniva scelto dal capo della cupola provinciale. Questi sarebbero però discorsi “antichi” negli ultimi tempi le regole erano saltate dice il pentito Milazzo, e si è proseguiti senza regole, secondo Milazzo, dalla metà degli anni 80 (84-85) in poi.
Vincenzo Virga fu nominato dopo essere stata interpellata la famiglia di Paceco, Ciccio Messina “u muraturi” di Mazara, i Messina Denaro, e furono loro che decisero di fare Vincenzo Virga capo del circondario mafioso di Trapani.

Capo della cupola provinciale in quel periodo era Mariano Agate e quando lo arrestarono fu nominato capo della cupola provinciale Francesco Messina Denaro di Castelvetrano.

Virga faceva parte della famiglia di Erice, che un tempo era tutta una famiglia con Valderice.
Dopo la scomparsa di Totò Minore, Trapani doveva unirsi alla famiglia di Paceco, invece si unì a quella di Valderice, e Trapani ed Erice furono accorpate.
Capo della famiglia di Trapani era Vincenzo Virga che poi divenne capo del circondario trapanese.

Il Milazzo dice che con Virga non ha commesso delitti ma insieme fecero due appostamenti per altrettanti delitti eseguiti da altri, quello di Girolamo Marino a Paceco e quello di Pietro Ingoglia a Trapani.

Il primo delitto del quale parla Milazzo è quello Monteleone, un ladruncolo di mezzi agricoli ed industriali, che fu ucciso perchè rubava senza autorizzazione.

L’omicidio avvenne di notte, lui fece da autista, guidava una Fiat Uno bianca che era stata rubata, una macchina che fu portata da Vito Mazzara.
Il delitto avvenne tra Marausa e Salinagrande, lì c’era l’abitazione di Monteleone.
Vito Mazzara e Orlando l’hanno aspettato e quando il Monteleone è arrivato verso mezzanotte gli hanno sparato, il Milazzo sentì i botti e li prelevò.
Nella circostanza fu utilizzato un fucile automatico calibro 12 e Orlando aveva un revolver calibro 38, il fucile lo aveva Vito Mazzara.

Per il delitto Montalto furono usate le stesse armi. Fu usata anche la stessa auto.
Dopo l’omicidio Montalto l’auto fu bruciata vicino il ponte dell’autostrada in località Fontanasalsa.
A uccidere l’agente Montalto a Locogrande o Salinagrande, fu solo Vito Mazzara, Franco Orlando doveva sparare se necessario.
Se Vito Mazzara sparava era difficile che la vittima potesse scamparla. Vito Mazzara di solito oltre al fucile portava anche una calibro 38.
Erano tutte armi che lui teneva dentro un sacco.
Vito Mazzara era un professionista, era molto in gamba nello sparare e faceva anche gare di tiro al piattello.
Mazzara con le armi era capace di fare qualsiasi cosa. Poteva sia sparare che modificare le armi.

Mentre facevano gli appostamenti per Monteleone e Montalto, il Milazzo chiese a Vito Mazzara se quei bossoli che restavano a terra non potevano essere una prova contro di lui. Vito Mazzara gli disse che cambiava di volta in volta un pezzo del fucile in modo tale che l’arma risultasse non riconoscibile.
Per il teste i bossoli li caricava lo stesso Vito Mazzara, ma non lo ha visto mai fare tale operazione.

Le armi si caricavano quando cambiavano la macchina pulita con quella sporca e queste operazioni si facevano all’aperto.

Vincenzo Mastrantonio era uomo d’onore della famiglia di Trapani, stava sempre vicino a Virga e questi aveva totale fiducia in lui.

Mastrantonio aveva partecipato al delitto Di Maggio, (dopo il 1985), commesso nelle campagne sotto Borgo Fazio. Anche questo era un ladruncolo di mezzi meccanici di Paceco. E Virga aveva stabilito che per questo doveva essere ucciso. Spararono tutti i componenti del gruppo di fuoco, composto da 4 persone, compreso il Milazzo ed il Mastrantonio.

Con Vincenzo Mastrantonio, insieme avrebbero dovuto uccidere per ordine di Virga il giudice Giacomelli, fecero i sopralluoghi, gli appostamenti, però Virga voleva che il delitto fosse commesso a Paceco, Milazzo invece gli disse che si poteva fare vicino casa del giudice, nella zona di Erice. Virga non lo interpellò più.
Il delitto Giacomelli fu fatto a Locogrande, più vicino a Paceco come voleva Virga, ma al Milazzo non dissero più nulla.

Vincenzo Mastrantonio aveva con lui ottimi rapporti, lui però non era in condizione di tenere un segreto, era un pericolo.
Mastrantonio lavorava all’Enel come operaio e faceva servizio a Trapani.

Alla famiglia di Valderice appartenevano Vito Mazzara, Nino Todaro, Salvatore Barone e Mario Mazzara, zio del Vito Mazzara.

Il Milazzo nel 1983 era detenuto a Trapani a San Giuliano, poi in seguito anni dopo vi fu di nuovo detenuto una seconda volta assieme a Mariano Agate.
Milazzo ricorda che i telegiornali di Rostagno li vedevano sempre e che c’era un forte malumore nei suoi confronti.

Milazzo dice che gli appartenenti alla famiglia di Mazara li conosceva quasi tutti, Vincenzo Sinacori, Giovanni Leone, l’architetto Bruno Calcedonio, Salvatore Tumbarello, che incontrava spesso essendo più in contatto con i mazaresi che con i trapanesi.

Con i mazaresi non parlò mai di Rostagno, ma non mancavano le battute quando lo vedevano in televisione, lo chiamavo cornuto, perchè lui “istigava”.

Adesso le domande sono poste dal pm Francesco Del Bene.

Del Bene chiede dei commenti contro Rostagno.
Il teste risponde che Rostagno era un farabutto e un cornuto perchè diceva cose brutte contro Cosa Nostra, attaccava tutti quelli che avevano i processi, e li attaccava giornalmente.

Con Mariano Agate gli bastava guardarlo in faccia per capire, Milazzo lo guardava e capivo dalla sua espressione che per Rostagno si avvicinava l’ora della fine. Così come quando essendo in carcere capì che fuori stavano per uccidere Totò Minore.

A proposito del delitto Rostagno Milazzo riferisce che gli chiesero di fare un sopralluogo presso la sede della tv dove lavorava Rostagno, a Rtc a Nubia.
Il sopralluogo glielo fece fare Ciccio Messina di Mazara, dopo qualche giorno lo incontrò e gli disse che tutto era a posto e che lui non doveva più interessarsi della cosa.
Milazzo dice che qualche volta aveva incrociato Rostagno per strada, sempre di giorno, anche molto prima di quel sopralluogo.

Quando gli dissero di fare il sopralluogo capi che per Rostagno era arrivata la fine, che era arrivato il tempo di “scipparici la testa”.

Per MIlazzo Rostagno non è stato ucciso perchè “attaccava tutti noi”, Rostagno sarebbe stato ucciso perchè avrebbe “toccato qualche nominativo che non doveva toccare”, qualche nominativo che apparteneva a Cosa nostra.
A Trapani, Paceco, Erice, quel delitto non interessava, chi era interessato al delitto di Rostagno era fuori dalla provincia di Trapani.

Era un delitto di Cosa nostra certamente ma l’interesse ad ucciderlo non era trapanese.

La mattina dopo il delitto incontrò Mastrantonio il quale gli disse “hai visto cosa c’è successo ai picciotti”. Milazzo del delitto aveva già appreso dal telegiornale.

Secondo Milazzo i “picciotti” erano Vito Mazara, Salvatore Barone e Nino Todaro, tre uomini d’onore di Valderice, così come riferitogli dal Mastrantonio.

Mastrantonio mi disse: “hai visto cosa è successo ai picciotti che gli è scoppiato il fucile in mano ?”.

L’ordine di uccidere Rostagno doveva essere venuto da Francesco Messina Denaro, che era il capo della cupola, appoggiatosi al capo mandamento Vincenzo Virga.

Milazzo riferisce che gli incontri a Mazara avvenivano nei locali della calcestruzzi dei fratelli Agate, Mariano e Giovan Battista.

Mastrantonio aveva un dfetto enorme che parlava troppo e spesso “metteva tragedie” e quindi ed era meglio non ascoltarlo per non essere coinvolti.

Milazzo è stato condannato per i delitti che ha commesso alla pena complessiva di diciassette anni.
Arrestato nel 1997 ha deciso subito di collaborare: “Per lasciare liberi i miei familiari, per lasciarli tranquilli, liberi dal fango cui appartenevo io”.
Milazzo però ricorda che i suoi familiari lo hanno isolato subito, non hanno voluto sapere nulla nè di lui nè di sua moglie.

Torna a fare le domande il pm Paci.

Mastrantonio cosa voleva dire quando le disse hai visto cosa è successo ai picciotti.
Lui, risponde, mi voleva dire del delitto Rostagno e che era scoppiato il fucile. Paci chiede se era la prima volta che l’arma avesse subito un malfunzionamento. Milazzo dice che tanti anni fa un altro fucile era scoppiato perchè le cartucce erano state troppo caricate, ma non ricorda, quando è successo e come l’ha appreso, ma è successo.

Vincenzo Virga aveva deciso l’omicidio Montalto perchè l’agente era rigoroso nel suo lavoro.

Nel periodo in cui erano asieme nel carcere quando Mariano Agate era nervoso e ci si sedeva a tavola mangiava continuamente, mi bastava vedere questo per capire che era nervoso, ed era nervoso quando vedeva le trasmissioni di Rostagno.
Mangiavano tutti assieme, in quel periodo comandavano loro dentro il carcere, Milazzo ricorda che a partecipare ai pranzi erano Peppe Ferro, Vito Parisi, Salvatore Alcamo. E a pranzo o a cena vedevano i telegiornali di Rostagno.

Rispondendo all’avv. Miceli, Milazzo ricorda tra gli altri di avere eseguito un sopralluogo per un delitto che si doveva commettere a Milano, contro un tale Truglio.

Milazzo ricorda che Vincenzo Mastrantonio fu ucciso perchè era un fiume in piena, un pericolo per cosa nostra, ma tale uccisione non ha a che fare con il delitto Rostagno.

Intervengono le difese.

Avv Vito Galluffo, difensore di Vito Mazzara.

Milazzo è attualmente detenuto.
Milazzo rammenta che la famiglia di Paceco era potente, lui era soldato, ma non erano i gradi a comandare. E a proposito dei delitti in genere che la mafia faceva tutto, e che non si faceva niente se la mafia non lo voleva.
Milazzo aggiunge che le istituzioni li informavano su cosa accadeva.

L’avv. Vito Galluffo chiede spiegazione sulla sua affermazione che Mastrantonio era un fiume in piena.
Sul delitto Rostagno Milazzo dice che non gli diede la possibilità di aggiungere altro quando Mastrantonio gli disse se sapeva cosa era successo ai picciotti. Galluffo chiede ancora sui rapporti con la famiglia mafiosa di Mazara. Milazzo conferma che lui e Vito Parisi erano stretti con mastro Ciccio Messina.
Erano vicini ai mazaresi perchè a Trapani c’era disordine.

La mafia trapanese aveva a disposizione diversi sicari oltre a Mazzara, Barone e Todaro e altri due di Trapani.

Galluffo chiede ancora se Mariano Agate aveva interessi sul delitto Rostagno, Milazzo risponde dicendo di non sapere se aveva interessi, ma ha ricordato l’espressione contrariata di Agate quando si parlava di Rostagno.

Vito Mazzara sovraccaricava le cartucce che faceva da se per sicurezza e potenza

E’ il turno adesso dell’avvocato Salvatore Galluffo, altro difensore di Mazzara.

L’avvovato Salvatore Galluffo chiede se c’erano medici a disposizione della mafia, la risposta è che ognuno aveva il suo medico di fiducia.
A proposito di Puccio Bulgarella Milazzo dice che come imprenditore forse era stato avvicinato ma poi per un periodo fu allontanato, ma dice di non sapere perchè. Milazzo dice di non sapere che fosse lui l’editore di Rtc. Molto avvicinabile secondo Milazzo era invece il padre di Puccio Bulgarella.

Non conosce Cardella ne la comunità Saman.

E’ il turno dell’avvocato Vezzadini che chiede delucidazioni sul ruolo attribuito da lui a Virga di capo del mandamento o del circondario come lui chiama il mandamento. Vezzadini ricorda che Milazzo aveva detto che il pacecoto Vito Sugameli era un pro forma e Milazzo conferma che era nelle mani dei Minore.

Milazzo su sollecitazione dell’avvocato Vezzadini ricorda il delitto di Antonino Barbera, un pacecoto il quale aveva bruciato anche la macchina al comandante della stazione dei carabinieri di Paceco e che è stato ucciso perchè la mafia si preoccupava di tenere l’ordine a Paceco.

L’omicidio di Barbera fu deciso dallo stesso Milazzo, Virga ed Alcamo. “Virga era il mandante ma noi eravamo contenti di farlo”, Barbera disturbava a tutti, era un pericolo.

Milazzo a proposito dei contrasti con Virga dice che entrambi all’inizio erano senza soldi, poi un giorno Mastrantonoio gli disse che lui e Virga si erano divisi 10 milioni. Non c’era ordine e per questo si rivolgeva a Mazara. Questo Virga non lo sopportava. Secondo Milazzo Virga si arricchiva e non faceva funzionare la mafia come riteneva dovesse funzionare.

Non ha conosciuto Brusca Giovanni, Sinacori Vincenzo si.

Il presidente della Corte giudice Pellino chiede a Milazzo cosa intende per “tragedie” a proposito di Mastrantonio, il teste risponde che Mastrantonio spesso metteva in cattiva luce le persone.

Milazzo ha detto di avere conosciuto Vincenzo Virga dentro il circolo del Pri che c’era alla periferia di Trapani, al cosidetto “passo dei ladri”, lì aveva anche conosciuto l’imprenditore Francesco Genna.

Milazzo a proposito di Franco Orlando, ex consigliere comunale Psi a Trapani che secondo lui avrebbe partecipato ad alcuni delitti, riferisce che a detta di Virga questi era un uomo d’onore riservato.

Milazzo riferisce dell’esistenza all’epoca di una lista di persone da uccidere, tra gli altri si doveva uccidere il capo della Mobile dottor Linares, ma Virga disse che non era il momento.

L’avv. Lanfranca chiede che Milazzo ricostruisca l’omicidio dell’agente Montalto.
Milazzo ricorda che fu ucciso in auto mentre era con la moglie e la figlia, a sparare fu Vito Mazzara e oltre a Montalto nessuno fu ferito.

L’avvocato Salvatore Galluffo cita una serie di nomi di soggetti accusati da Vincenzo Milazzo di essere autori di omicidi o di avere partecipato alle fasi di preparazione di omicidi per dire che gli stessi sono stati assolti.

L’udienza si chiude qui.

Prossima udienza il 7 dicembre, sarà sentito il collaboratore di giustizia, Vincenzo Sinacori, ex esponente della famiglia mafiosa di Mazara del Vallo.

La precedente udienza del 09/11/2011 la trovate qui

grazie a Radio Radicale

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