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Tre storie, due mondi, un volto

Creato il 05 luglio 2013 da Giulianoguzzo @GiulianoGuzzo

Calvino

Italo Calvino fotografo, ritrattista dell’uomo, investigatore del disagio contemporaneo. E’ il lato forse meno noto e senz’altro meno approfondito del celebre scrittore e che il filosofo Paolo Fedrigotti in Tre storie, due mondi, un volto (Cittadella 2013, p. 160), la sua ultima fatica, si prefigge di sottoporre alla nostra attenzione. E lo fa soffermandosi sull’analisi di tre opere apparentemente distanti da suggestioni antropologiche, in quanto fiabe: Il Visconte dimezzato, Il Barone Rampante e Il Cavaliere inesistente. Accomunati – dice lo stesso Calvino – dal «fatto di essere inverosimili e di svolgersi in epoche lontane e in paesi immaginari» [1], questi racconti sembrano infatti rivolti altrove, forse a catturare attenzione, non certo a tracciare una riflessione sulla condizione postmoderna. Il pensiero di Fedrigotti invece è diverso: sostiene che, decifrate a dovere, quelle fiabe celino aspetti non solo supplementari rispetto a quelli palesi, ma di estrema attualità, tasselli di ciò che siamo. E per suffragare la tesi chiama a deporre, citandolo, il testimone per eccellenza: Calvino.

Tre storie, due mondi, un volto si delinea così come una rivisitazione “partecipata” della trilogia calviniana, come un tentativo non già di collocare Il Visconte dimezzato, Il Barone Rampante e Il Cavaliere inesistente ai giorni nostri, ma di collocare noi al posto loro, di far cioè vedere quanto l’oscillazione tra il nulla e l’assoluto [2], la difficoltà dell’esercizio della libertà [3] e lo sradicamento e la crisi dell’identità [4] siano questioni che ci riguardano da vicino, ben più di quanto le distrazioni che viviamo ci lascino intendere. In questo senso Fedrigotti opera un rovesciamento inatteso: più che dare il microfono a Calvino – cosa che il lettore, in apertura, potrebbe aspettarsi -, lo consegna a noi; chiede a noi di metterci in discussione e scendere in profondità laddove lo scrittore, mimetizzando con cura le proprie traiettorie, è già stato. Pagina dopo pagina il libro si rivela dunque una sorta di agile ma accurata guida filosofica, di specchio dove – in compagnia dei vari de Lubac, Heidegger e Nietzsche – osservare il disorientamento da cui contiamo di evadere.

Molto si potrebbe ancora aggiungere su  Tre storie, due mondi, un volto ma sarebbe imperdonabile, a questo punto, anticipare al lettore altro di quel che contengono le pagine di quest’opera, di cui mi permetto di consigliare la lettura ed arricchita da una raffinata prefazione di Giuseppe Barzaghi. Anche perché sono scritte, cosa non scontata oggi, da un autore giovane (classe 1981) – che è anche un amico – ma già estremamente competente, a suo agio sul terreno filosofico ed abile nell’approfondire, scansando derive intellettualistiche, l’«eccezionale parabola sul mistero della vita» [5] che si dipana in quelle che sembrano semplici fiabe prima di rivelarsi tre diari, tre modi di raffigurare l’inquietudine antropologica dell’uomo di oggi, diviso fra la fatica di comprendere e quella di comprendersi, fra la tentazione di dominare tutto e il timore di non controllare nulla, la possibilità di vivere a lungo e la sensazione di non essere mai felice.

Note: [1] Calvino I. I nostri antenati, Mondadori, Milano 2011, p. 409; [2] Cfr. Fedrigotti P. Tre storie, due mondi, un volto, Cittadella, Assisi 2013, p. 84; [3] Ibidem, p. 119; [4] Ibidem, p. 62; [5] Ibidem, p. 17



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