Un ritratto delle italiane single over 30: vogliono il principe azzurro, ma trovano soltanto bastardi. “Fossi figa sarei una stronza” di Eleonora Gandini, da leggere sotto l’ombrellone.
Un libro per l’ombrellone, divertente e ironico: “Fossi figa, sarei una stronza ” di Eleonora Gandini, pubblicato da Cult Editore. A metà tra ” Love actually”, il film cult del 2003 con Hugh Grant, e “Il diario di Bridget Jones” il libro della Gandini racconta la storia di una trentenne, Letizia Zen, alle prese con avventure erotico-sentimentali e di amicizia, sullo sfondo della Milano delle agenzie di pr (non a caso l’autrice si occupa di comunicazione e marketing per aziende internazionali). Una commedia degli equivoci che strizza l’occhio a ” Sex and the city” (immancabile riferimento culturale – ormai stantio – di tutte le 30-40enni ) ma ancora la storia alla realtà italiana in cui i 30enni, anche quelli non più bamboccioni e con una vita autonoma, sono pur sempre legati loro malgrado alla famiglia. Tra situazioni tragicomiche , relazioni pericolanti e telefonate della mamma logorroica, la storia di Letizia accomuna la vita di molte giovani donne d’oggi.
INTERVISTA AD ELEONORA GANDINI
Eleonora, è vero che, come scrivi nel tuo libro, arrivate alla trentina gli uomini sono per le donne come i posteggi decenti? Ovvero sono stati già tutti
presi?
Mah, allora, non credo che sia solo questione di essere stati presi. È anche questione che a trent’anni le donne pensano al futuro e gli uomini sono un po’
più farfalloni. È ovvio che si generalizza, ma è anche vero che c’è la “pecora nera” nel gruppo maschile che vuole mettere su famiglia. Penso a mio fratello
che ha trovato la donna della sua vita e si è sposato subito; ora è in attesa del secondo figlio. Sulla base della mia esperienza e delle mie amiche 35enni
però alla fine è così.
In un articolo un tantino misogino a firma di Massimo Fini, uscito qualche giorno fa su Il Fatto quotidiano si arrivava alla conclusione che «le trentenni, spesso belle, colte ed eleganti (fini no, la ragazza “fine” è scomparsa dall’Occidente) fan una fatica boia a trovare un partner. Non per una scopata (anche per quella, gli uomini, di fronte all’aggressività femminile stan diventando tutti finocchi), ma un uomo che dia loro la sicurezza e il senso di protezione di cui hanno bisogno. Consiglio uno stage in Afghanistan. Troveranno degli uomini che le faranno rigar dritto, come meritano e come, nel fondo del cuore, desiderano». Vuoi replicare?
Questa è un po’ cattiva, anche perché la situazione là non è molto allegra e mi rattrista soprattutto la parte finale, sul desiderare una certa situazione. È
tendenzialmente vero che per esperienze vissute, le donne “scottate” diventino stronze. Soprattutto quando sono arrivate professionalmente, sono molto
esigenti nei confronti di un eventuale compagno. Gli uomini che scappano di fronte a una donna di polso però, non vale la pena nemmeno di lottarci, per
averli. Un rapporto deve essere anche confronto. Il mio compagno, che ha un paio di anni meno di me, sta facendo il tifo per la mia carriera, perché avere una posizione professionale sa che è una cosa che mi appaga, e mi dice sempre: «Se trovi il lavoro della tua vita sto a casa a fare il casalingo».
Che uomo cercano esattamente le trentenni single?
Secondo me, è una questione di comprensione fondamentalmente. Noi donne alla fine facciamo la parte di quelle forti, come dicevamo sopra, abbiamo una posizione in grandi aziende ma quando arriviamo a casa abbiamo bisogno di un supporto. Le brutture quotidiane, quando vivi sotto lo stesso tetto con un uomo, te le porti a casa, è inevitabile. Hai bisogno che lui le comprenda. Magari arrivi a casa che ti hanno fatto girare le palle sul lavoro e non hai voglia di cucinare. Molti uomini non ci pensano, ma se ti capiscono, ti aiutano tanto.
E perché molte non lo trovano?
Lì è questione di punto di incontro. Ritornando all’inizio della chiacchierata: secondo me intorno ai 30 l’uomo pensa ancora tanto a divertirsi e pensa dal punto di vista soggettivo. La donna pensa a un rapporto a lungo termine, nell’arco di 5 anni. La famosa frase della nonna che dice che le donne maturano prima degli uomini credo sia vera. A una certa età le donne o puntano sul più vecchio oppure, come capita spesso di leggere nei giornali di gossip,
sul decisamente più giovane. Di norma comunque, ribadendo quanto detto sopra, se si incappa sempre nella stessa tipologia di uomo sbagliato, la colpa è anche un po’ nostra. Nel mio caso, ad un certo punto, forse maturando, ho fatto una scelta inconsapevole: il mio lui ha un paio di anni in meno di me, però è totalmente diverso da tutti gli uomini che ho avuto in precedenza. Quando l’ho presentato alle mie amiche sono rimaste sconvolte. Prima li cercavo stronzi, musicisti, quelli che ti tengono un po’ sul filo. Nella realtà dei fatti si comportano così o perché hanno paura di impegnarsi oppure perché hanno un’altra. Cosa che mi è capitata abbastanza spesso. Ho avuto una relazione di un anno con un uomo che vedevo durante la settimana e che nei fine settimana non vedevo mai.
Allora il Luca di cui parli nel tuo libro esiste davvero!
Sì, nei fine settimana, in un’altra città, vedeva la sua fidanzata ufficiale. Tirando le somme, mi sono domandata se la persona della quale ero stata
innamorata per un anno, non fosse semplicemente un personaggio recitato da lui. Forse noi donne non siamo abituate a mentire in maniera così spudorata. La nostra forma di menzogna è diversa da quella degli uomini. Oppure mentiamo per non ferire l’altra persona, spesso alla fine di un rapporto.
Esattamente quando si comincia a fare i conti con l’orologio biologico?
Secondo me è una questione soggettiva. Ho amiche che già a 25 anni dicevano: «Oddio devo fare un figlio , perché sennò poi sono troppo vecchia». Io non l’ho mai preso in considerazione finora, ma adesso che ho 31 anni col mio fidanzato ci stiamo pensando, non subito ma entro 4-5 anni, ovviamente fisico e ovaie permettendo, ma è sicuramente una questione soggettiva. Ho amiche che non hanno mai avuto voglia di fare figli e a 35 anni si svegliano una mattina con la voglia di farne uno. Sali sull’autobus e vedi una tua coetanea col pancione, ecco. Poi la crisi e la situazione lavorativa incidono negativamente, tantissimo. Anche parlando col mio fidanzato che ha un contratto a tempo determinato, quando abbiamo affrontato il discorso ci siamo detti: come facciamo? Perché oggettivamente gli aiuti in Italia non ci sono. Ho un’amica in Italia che ha un figlio di 4 anni, una famiglia in difficoltà con contratti a tempo e invece mio fratello che vive in Irlanda è stato aiutato tantissimo dallo Stato.
Ma il matrimonio è ancora un obiettivo?
(Sospira – ndr.) Bella domanda, bisognerebbe entrare nella testa di tutte le trentenni e dire se è per il vestito, per il desiderio di avere il vestito da
meringa o se è per l’istituzione in sé. Io all’istituzione in sé non è che creda molto. Una coppia che vuole vivere insieme può tranquillamente andare in
Comune con due testimoni ed è finito il matrimonio. Poi c’è sempre la questione dei soldi. Conosco famiglie che hanno acceso un mutuo per sposare i figli. Il mio ideale di matrimonio sarebbe sposarmi in Comune, prendere un campo in campagna e fare una grigliata con gli amici lì, magari non sono tanto romantica ma riuscirei ad avere tutti gli amici vicini senza spendere una barca di soldi. Alla fine conta anche la tua posizione, la tua situazione. Che il matrimonio sia un ideale che ogni donna si porta dietro da bambina è vero. Oggettivamente però quel giorno sei così stressata dali preparativi, che non ti rendi conto nemmeno di quello che hai addosso.
Una curiosità, il retroterra culturale della trentenne è tutto “Sex and the city”, Glamour e Vogue o c’è dell’altro?
Per quello che ho visto io c’è una divisione abbastanza netta: c’è una parte che segue il filone Carrie e una parte che definirei un pochino più hippie,
quelle che magari non stanno a guardare tutti i giorni l’intonazione della borsa con la scarpa quando vanno in metro. Non vedo quindi un’uniformità e un
macrogruppo nel quale inserire le donne che hanno trent’anni.
Nelle storie d’amore e sesso che racconti ci sono molti elementi, seduzione, sensualità, erotismo, complicità tra uomo e donna. C’è sempre però una diffidenza di fondo. Perché?
Questo perché per mia esperienza e per esperienze raccolte da amiche c’è sempre la paura di prendersi la fregatura. Mi viene in mente una mia amica che
è una coetanea che aveva conosciuto un ragazzo (lei è sempre stata una sfigata allucinante con gli uomini, non dico ai miei livelli, comunque…). Parlandomi mi ha detto che lui era carino, gentile, le aveva offerto da bere. Poi mi ha detto: “Sai è proprio normale”. Come sarebbe “normale”? Il fatto che dopo 4-5 volte che erano usciti insieme mi avesse detto questo, come se la normalità fosse un fattore che ti lascia sul chi va là. Non è stronzo, non mi tratta male, mi offre anche da bere. Qualcosa di nascosto ci deve essere! Questo ti lascia un po’ così. Anch’io quando ho conosciuto Davide, mi piaceva tantissimo e io piacevo tantissimo a lui, quando ne parlavo con le amiche dicevo: è bravo, non mi fa giochetti strani, se mi dice ti chiamo, poi mi chiama davvero: un uomo che mi dice ti chiamo alle 8 e alle 8 ha il telefono in mano. Cose così.
Desolante il panorama maschile…
Non voglio dare la colpa agli uomini, se sono arrivati a un certo punto a essere così stronzi è anche colpa di noi donne. Io sono stata single, negli
ultimi 5 anni. Di situazioni nelle quali avevo qualcuno che mi filava ne ho avute nell’arco di un quinquennio. Ma alla fine andavo sempre, sempre, sempre a beccare quello che era un po’ misterioso (“Ma sì, domani non ci sono perché ho lasciato il gatto sul fuoco”, robe così), uno che ti tiene sul chi va là,
quindi poi ti ci abitui. Vedi anche esperienze precedenti che ti lasciano la pulce nell’orecchio. Quando ti insospettisci è ovvio che l’uomo si comporti di
conseguenza rispetto all’insicurezza femminile. Alla fine in realtà basta confrontarsi senza coltelli tra i denti e guantoni da boxe.
Ci spieghi la frase di Nik Hornby come epigrafe del tuo libro? “Capisci che non stai andando bene quando non puoi raccontare agli altri i fatti più semplici della tua vita, solo perché si immaginerebbero che gli stai chiedendo pietà”.
Era nella prima versione del libro, ma non l’ho cambiata. L’ho lasciata com’era nell’originale del racconto. Nel periodo in cui ho scritto per la prima
volta il racconto era una frase che calzava perfettamente col momento. In quel momento lì non poteva andarmi peggio. Il mio caro amico Alessandro Berselli, anche lui scrittore, ad un certo punto mi disse «Non so come tu abbia fatto a non pensare ancora di suicidarti». Si scherzava, ma in fondo c’era qualcosa di vero. Ho avuto un momento di sfighe galattiche. Il libro l’ho scritto nel 2005, l’anno precedente ero stata con quel tipo famoso che ho scoperto poi essere fidanzato. Nel frattempo mi si era incendiata la casa a Milano, sul lavoro andava male ed era era stato operato mio papà. Mi sono trovata davanti all’immagine di mio padre in ospedale praticamente in fin di vita e leggendo quella frase di Hornby, mi era sembrata perfetta. L’ho lasciata come monito a distanza di 7 anni e, anche se le cose sono per fortuna cambiate, ho deciso di lasciarla perché è molto forte.
Intervista fatta da Daniele Passanante
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