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Trilogia della vita in Sardegna - La nascita

Creato il 10 febbraio 2011 da Alessioscalas

nascita in sardegnaI riferimenti a questi fatti della vita, che poi seguivano delle usanze, sono quelli dei primi decenni del XX secolo. In particolare seguivano le usanze delle zone più interne e quelle più arcaiche dell’ Isola non trascurando le altre e facendo cenno alle terminologie linguistiche.

 

La nascita per ognuno di noi è il primo atto della vita.  La partoriente, che partoriva in casa, cercava di mettere al mondo il proprio figlio davanti al focolare. L’usanza, arcaicamente derivata dai romani, tendeva a dedicare il nuovo nato alle divinità protettrici  della casa, i Lari. Tuttavia  in contatto con il pavimento, la terra, ha lo stesso significato, ma al contrario, del moribondo che deve spirare la vita sul pavimento accanto al focolare, mentre il neonato prende la vita dalla terra.

Le varie terminologie linguistiche chiamano la partoriente, secondo le zone dell’ Isola: nel nuorese “partorya”, nel Logudoro “pardondzana” (e altri termini affini), nel Campidano settentrionale “partoza”, nel campidano meridionale “partera” (dallo spagnolo “partera”). In alcune zone interne accanto al Gennargentu, si usa “pàna”. Questo termine mal si collega con la voce partoriente, lo stesso termine è usato per indicare una bestia gravida, ma nel Logudoro la voce “pàna” è collegata alla superstizione. Infatti con questo termine si indicano le donne morte di parto, si crede che errino durante la notte e a mezzanotte frequentino i luoghi dove le donne lavano la roba e battano i panni con un osso [di morto] umano.Anche Grazia Deledda in “Canne al vento” definisce le “pànas” come; “donne morte di parto”.

La descrizione di molte usanze vigenti al momento della nascita, hanno affascinato gli etnologi.
Nelle zone interne dell’Isola, quando la donna inizia il travaglio, il marito esce di casa e appende davanti ad essa un paio di pantaloni “cartsònes de tela”, su questi si precipitano immediatamente le comari del vicinato e li battono forte gridando improperi come: “sei stato birbone tu, mascalzone”.
Dopo il parto si offrono agli invitati, in quasi tutte le parti dell’Isola, dolci e pane. Nella Barbagia e nel Campidano si offre una minestra densa, fatta di riso erbe e legumi di tutte le varietà, “su ròsu” (arrosu) dallo spagnolo “arròz” (riso).

E’ usanza subito dopo la nascita scegliere il padrino e la madrina. Le varie terminologie del nome del padrino, indicano anche chi in genere veniva scelto :”nonnu” (tipica voce mediterranea orientale) o “padrinu”, “nonna e madrina”; spesso si sceglievano i nonni e le nonne come padrini, oppure gli zii anziani. Una volta scelto il padrino o la madrina, il padre ha il compito di ufficializzare la richiesta, secondo una formula prescritta. “ Soè venidu ca tenimus zènte noa, si cherider fachere sa caridade de fachere unu moru a cristianu” è questa un’usanza spagnola che si pratica in tutta la Sardegna. La formula è similare anche in Andalusia:” All llegar à la puerta della sala, la madrina toma en sus brazos à la criatura, entra seguida del cortejo, se acerca à la cama, donde la madre espera impiacente, y presèntandole el recièn bautizado le dice estas ò parecidas calabras:-Comadre: aquì tiene Vd. A su hijo; me lo entregò moro y se lo devuelvo hecho cristiano” (Costumes populares andalusas).

Anche l’annuncio della nascita avviene come in Spagna. A Cagliari si manda nelle case delle famiglie amiche una donna di servizio, che annuncia: “Su meri e sa meri di fainti sciri ca èst nasciu unu serbidoreddu”.La formula in Ispagna è più ufficiale e formale: “El segnor… e la segnora … que le besa a osted, las manos y que ya tiene ostedun criadito màs a quien mandar” la stessa formula è seguita anche per le partecipazioni scritte.
Dopo il battesimo (battiolzu, battyamentu, battisimu, battiari) si fa un invito (imbidu, cumbidu) nella camera della puerpera, dove si beve alla salute della “mamma diciosa” e del neonato.
Altra cerimonia, ormai scomparsa ma sino a mezzo secolo fa ancora in auge, era “s’incresiada”. La prima uscita di casa, la puerpera, la doveva fare per andare in chiesa a “purificarsi”. Era credenza comune, suffragata anche dalle istituzioni ecclesiastiche, che dal momento del parto il diavolo avesse acquisito sulla “partera” un particolare potere del quale potrà liberarsi con l’aiuto del prete.
Si reca, quindi, in chiesa col neonato che protegge come fosse un “angelo”, dalle tentazioni di satana. Porta con sé un cero, piuttosto grande e s’inginocchia davanti all’ingresso della chiesa; il prete che la aspetta, lo asperge con l’Acqua Santa, tenendosi distante e scaccia con preghiere il diavolo, di seguito si avvicina alla puerpera, posa sul bambino un lembo di stola e accompagna la madre all’altare dedicato alla Vergine. Questa accende la candela, si inginocchia e riceve la benedizione che la purifica.

 

Angelo Sanna


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