Da tempo voglio scrivere un post su questo argomento, e da tempo lo rimando: troppo complicato, troppo ingestibile. Eppure, lo sento come un’urgenza quasi angosciante. Voglio parlare di immigrazione.
Premetto che tratterò l’argomento dal punto di vista esclusivo delle risorse. E’ vero che l’immigrazione può avere un effetto, a seconda, arricchente o destabilizzante, in ambito sociale, culturale, religioso, politico, linguistico… a me questo al momento non interessa. Da un lato, anch’io mi preoccupo per le possibili perdite, dall’altro sono entusiasta dei possibili arricchimenti. In fondo,le culture sono in continua evoluzione, e quello che oggi consideriamo tipico di un popolo (lingua, cibo, abito…) spesso ha origini straniere ed è stato adattato e incorporato. Quindi: rassegnamoci al cambiamento.
Quello a cui non riesco a rassegnarmi invece è il fatto che i flussi migratori in Europa e in Italia (su cui mi concentrerò) continuano ad aumentare la nostra popolazione in un momento in cui, checché ne dicano i continui allarmi sull’invecchiamento e sulle culle vuote (che non esistono), la popolazione dovrebbe avere la possibilità di calare almeno un po’.
Non molto tempo fa mi sono imbattuta in questo articolo del Guardian, un giornale britannico che definirei di centrosinistra. L’articolo dice che, nonostante gli sforzi del governo, l’immigrazione in Gran Bretagna ancora non cala. Quello che mi ha stupito è la normalità e la pacatezza dei toni: si dice che il governo vuole meno immigrati come se fosse la cosa più legittima del mondo, e si dichiara che l’obiettivo non viene raggiunto. Qui in Italia una riduzione dell’immigrazione è chiesta a gran voce solo dalla Lega, un movimento e partito xenofobo, isterico e ignorante di cui io penso, lo dico pubblicamente, tutto il male possibile, anche se in mezzo c’è anche ‘brava gente’ (e questa è la parte preoccupante).
Io ho vissuto a Londra per un breve periodo, e l’ho trovata un posto impossibile, stressante e spietato. Uno dei motivi per cui ero contenta di scegliere di non viverci, oltre al principale e cioè al desiderio di tornare a casa, era che mi rendevo conto che Londra veniva letteralmente invasa di stranieri, con tutti i conseguenti costi di gestione del fenomeno, aumento dei prezzi, competizione per lavori miserrimi, e così via, e che, anche se a molti questo piaceva, per me il risultato era uno stravolgimento di tutto ciò che poteva essere interessante e caratteristico della città, e in compenso solo un gran marasma di culture diverse che contribuivano certo alla metropoli, ma non riuscivano a darle una nuova identità e riconoscibilità tranne quella del ‘di tutto un po”. Roma è internazionale, ma è sempre molto romana. Londra è tutto, e quindi non è niente.
Veniamo all’Italia. Se c’è un vizio mediatico che mi manda su tutte le furie, è questo continuo implicito o esplicito allarmare la gente sulla possibilità di un declino demografico, e questo continuo esaltarsi quando le culle si riempiono (cioè continuamente). L’unica cosa che non viene rimproverata ai migranti, che paradossalmente è l’unica che io rimproverei loro come categoria, la cosa anzi per cui vengono regolarmente e pubblicamente ringraziati, è di impedire il declino demografico dell’Italia. Ma l’Italia ha bisogno di un declino demografico.
Prima di spiegare perchè, vorrei liquidare il problema dell’invecchiamento della popolazione. Innanzitutto, risolvere l’invecchiamento facendo più figli vuol dire non rendersi conto che i bambini di oggi saranno i vecchi di domani, e quindi cercare di rimediare un problema attuale creandone uno di natura uguale ma di dimensioni maggiori per il futuro.
Inoltre, io penso che non si possa andare in pensione troppo presto, come si fa ora. L’età pensionabile di adesso è stata pensata in un periodo in cui si viveva molto meno. Non si può stare trenta, quarant’anni alle spese della collettività, neanche se si ha contribuito altrettanto. Ma non si può neanche massacrare il corpo e la mente lavorando quando non ce la si fa più. A questo proposito la teoria della decrescita, che propone la diversificazione dell’attività economica attraverso l’autoproduzione, e la riduzione delle ore di lavoro giornaliere, nonché la gratuità e spontaneità dei servizi alla persona (cura dei bambini, dei malati, degli anziani) permetterebbe alle persone di mantenersi attive e utili fino a età avanzata senza stancarsi con le otto ore al giorno, ma lavorando per esempio part-time, nell’orto, o tenendo d’occhio i bambini piccoli.
Quindi la soluzione al problema delle pensioni non va nella direzione di un incremento delle nascite, che postpone e aggrava il problema senza risolverlo.
Detto questo, vediamolo questo calo della popolazione italiana. Secondo l’ISTAT, nel 2002 i residenti erano 56,993,742. Nel 2011 60,626,442. Questo non si chiama calo, si chiama incremento (e andando a vedere le statistiche anno per anno, si vede che è un incremento costante, di centinaia di migliaia di persone all’anno). Sì, ma solo grazie agli immigrati, mi si dirà. Appunto. Non vi annoio con altri dati, ma sempre secondo l’ISTAT la popolazione italiana, senza l’apporto degli immigrati, sarebbe in calo, e direi anche parecchio. Perché questo dev’essere un male?
Innanzitutto, niente paura: non credo che scompariremo. La gente vuole fare figli ora come sempre, e anche se ne fa uno per coppia, o non tutte le coppie ne fanno, questo desiderio ci sarà anche in futuro. Ci saranno sempre bambini e anche un certo numero di famiglie più numerose (a meno che non ci autodistruggiamo come specie). Inoltre, facendo grosse semplificazioni, i costi di un calo della popolazione sono sempre sociali (che tristezza senza bambini, che incubo un paese governato da vecchi) o economici (meno popolazione in età lavorativa, meno innovazione). I costi della sovrappopolazione possono variare, ma, oltre che sociali (se non si trova lavoro per tutti i giovani, conflitti per le risorse e le eredità) ed economici (scuola, sanità…), e mettiamo anche estetici (un territorio sovrappopolato e senza spazi aperti) sono soprattutto ambientali. E l’ambiente è l’unica cosa da cui dipendiamo senza alternativa. Se non hai lavoro o le ultime tecnologie, in qualche modo puoi sopravviere. Ma se l’ambiente è inquinato, depauperato, se finisce l’acqua, la terra non dà frutti, se il suolo e le falde sono piene di veleni, se non ci sono alberi, o api, o piogge, noi muoriamo, come singoli e se continua così come specie. Esiste un’alternativa a tutto, ma non all’acqua e non al cibo. Per non parlare di disastri ambientali, come le alluvioni, o del calo della qualità della vita dovuto al sovraffollamento. O dell’aumento dell’infertilità dovuto a fattori ambientali.
Non posso qui elencare tutte le conseguenze nefaste del sovrappopolamento, ma c’è una produzione infinita di studi in proposito. A chi dice (e lo si sente dire): ‘c’è cibo per tutti, è solo distribuito male’, rispondo con due semplici obiezioni. Uno: anche se ci fosse cibo per tutti, c’è un limite massimo alla produzione possibile in questo pianeta, e quindi alla crescita demografica: dobbiamo aspettare di scoprire qual è, a nostro rischio e pericolo, o vogliamo autoregolarci prima? Due, e forse più importante: sì, il cibo. Viviamo solo di cibo? E l’acqua, le medicine, i vestiti, i rifiuti, l’energia, i consumi, il territorio, le case, le strade, le vacanze, i trasporti… anche di tutto questo ce n’è per tutti? Tra l’altro, in un pianeta in cui 850 milioni di persone non mangiano abbastanza, per non parlare di altre forme di povertà e privazioni, e in cui la popolazione continua a crescere, io non farei tanto la splendida, mi terrei sul lato prudente della questione. Vogliamo che tutte queste persone mangino abbastanza, e abbiano un tenore di vita decente, cosa che già è negata a milardi di noi, e che tutti continuino a fare quanti figli vogliono: non è possibile, neanche riducendo gli sprechi e migliorando le tecnologie. C’è un limite a quanto la terra può produrre, e quando l’hai impoverita, alle volte è impossibile farla tornare fertile di nuovo.
Torniamo all’Italia. Gli italiani l’hanno distrutta: inquinata, cementificata, spopolata di specie animali e vegetali, svuotata di risorse ittiche, deforestata, eccetera. Di questo abbiamo esempi diversi ogni giorno, non posso elencarli tutti qui. Inoltre, e questo è il punto saliente, gli italiani hanno fatto tutte queste cose anche alla terra degli altri. Come? Importandone le risorse.
C’è un calcolo che si chiama impronta ecologica, che definisce “l’area biologicamente produttiva di mare e di terra necessaria per rigenerare le risorse consumate da una popolazione umana e per assorbire i rifiuti corrispondenti“. E’ un dato fondamentale, anche se difficile da misurare. Se una nazione supera l’area disponibile, significa che sottrae risorse ad altre popolazioni o al futuro, perché ci vuole tempo affinché le risorse si rigenerino. Secondo la Global Footprint Network, questa è la differenza tra quanto consumano gli italiani, e quanto hanno a disposizione. L’Italia dispone di 1,1 ‘ettaro globale’ per persona (e la disponibilità è in calo), e ne consuma 5 (e il consumo è in crescita)*. Quindi è in grosso deficit. Ci vorrebbero quasi cinque Italie per mantere lo stile di vita della nostra popolazione attuale (per maggiori informazioni sui calcoli, vedete il sito). In pratica, per ‘starci dentro’ con le risorse, cioè per non toglierle né ad altri paesi né alle generazioni future (entrambe cose che stiamo facendo attualmente), la popolazione italiana dovrebbe o ridurre i suoi consumi a un quinto, oppure scendere a circa 12 milioni. Se la seconda opzione è impensabile a meno di porre in atto un genocidio, anche una riduzione così drastica dei nostri consumi, pur con tutto il risparmio energetico e i vegetariani e le biciclette di cui siamo capaci, sarà parecchio dura. In questo contesto, la cosa peggiore da fare è aumentare ancora la popolazione.
Siccome molti dei migranti provengono dai paesi cui noi sottraiamo le risorse, in forma di petrolio, per dire, di prodotti agricoli, mangimi per animali, cibi esotici e via dicendo, il mio sforzo di riduzione dei consumi è fatto anche per equità globale, e in nome dell’equità invito tutti a fare altrettanto. Certo è però che questi stessi migranti, naturalmente con paradossali eccezioni quali l’Europa dell’Est, spesso vengono da paesi con alti tassi di crescita demografica. Quindi io penso: noi “paesi ricchi” riduciamo i consumi, voi cittadini dei “paesi poveri” (e non solo) riducete il tasso di crescita demografica.
In tutto ciò, è giusto impedire ai migranti di entrare in un paese già sovraffollato? Paradossalmente, la libertà di movimento, diritto riconosciuto, entra in conflitto con la libertà degli abitanti di un territorio di decidere come gestirlo, diritto problematico ma fondamentale. Inoltre, l’unico modo per respingere chi viene qui è la violenza o la discriminazione, entrambi inaccettabili per buona parte della popolazione e in contraddizione con i diritti della persona. Che fare? Bisognerebbe trovare un compromesso, è ovvio, e agire sulle cause delle grandi migrazioni. Ma innanzitutto bisognerebbe non bollare come razzista chi si oppone all’immigrazione per motivi ambientali, come sto facendo io ora. E chi viene qui dovrebbe rendersi conto dei nostri problemi, come io mi rendevo conto di contribuire ai problemi di Londra, e rispettarli.
* E questi dati mi sembrano quasi ottimistici, vedendo che l’Australia, che so soffrire di enormi problemi ambientali, risulta avere un saldo positivo.