di Murat Cinar
Uno degli ultimi eroi di un popolo che esiste da più di quattromila anni, è stato assassinato nel centro di Istanbul con tre colpi al collo, esattamente cinque anni fa.
Hrant Dink (Հրանդ Տինք) ha sempre avuto la volontà di fermarsi un attimo e parlare, studiare la storia con lo scopo di conoscerla, per poter riabbracciare i popoli del territorio anatolico. Dink ha sempre e soltanto immaginato fosse possibile creare in Turchia un futuro diverso in cui i popoli potessero guardarsi in faccia e chiedersi scusa, ammettendo gli errori del passato, popoli turchi, curdi, armeni oppure europei.
Quando nel 2006 ha ricevuto il Premio Internazionale di Henri Nannen in Germania per aver promosso la libertà di stampa disse: “Soltanto i turchi sono responsabili per quello che è accaduto? Non sono anche gli europei a doversi chiedere se sono responsabili? Secondo me sì, e solo facendo così, oggi, potremo capire cosa si riesca a fare per il futuro”. Senz’altro con queste parole Dink si riferiva ai governi europei che, dalla fine dell’Impero Ottomano, hanno sistematicamente ignorato, per via delle alleanze militari, ideologiche oppure economiche, quasi tutto quello che hanno vissuto i cittadini ottomani e turchi di origini armene nel territorio anatolico. Nel suo appello durante la serata della premiazione, chiese ai ministri, ai parlamentari ed ai giornalisti presenti in sala di non isolare e non “lasciare soli” i popoli della Turchia e dell’Armenia.Hrant Dink era un giornalista, lavorava per il giornale armeno più grande della Turchia, Agos, era il suo capo redattore. Dink non era un giornalista rinchiuso nel suo ufficio: oltre scrivere ed investigare per il suo giornale organizzava conferenze e partecipava a programmi radiofonici e televisivi con lo scopo di farsi “portavoce” di un popolo e della sua storia.
Grazie alle dichiarazioni rilasciate durante una conferenza nella città di Urfa nel 2002 (Dink aveva dichiarato di non essere un turco, bensì un cittadino turco ed armeno) fu processato fino al 2006 ed infine assolto. Ovviamente non smise mai di difendere le proprie idee così, nel 2004 e nel 2005, furono avviate due altre cause contro di lui perché, secondo i giudici, “offendeva l’identità turca” nelle sue dichiarazioni pubbliche in cui sosteneva che la figlia adottiva del fondatore della Repubblica turca (Mustafa Kemal Ataturk) fosse in realtà una ragazza armena. Fu inoltre processato perché, nel 2006, in un’intervista rilasciata all’Agenzia di stampa Reuters, definì “genocidio” ciò che accadde nel 1915. Infine, nel 2007, a causa di un suo articolo, lui e due altri giornalisti dell’Agos furono accusati di “offendere l’identità turca”: questa volta Dink finì nel mirino per aver scritto: “Il sangue pulito che sostituirà il sangue avvelenato che verserà il turco, scorre nelle vene che l’armeno costruirà in Armenia”.
Nel suo articolo criticava apertamente il governo armeno di allora per non essere in grado di assumersi le giuste responsabilità nei confronti degli armeni residenti nel resto del mondo, lasciandoli soli.
Da quel punto in poi, in Turchia, prese piede contro di lui una campagna nazionale forte, creata e portata avanti da una grossa parte dei media e dei partiti politici. Mentre si svolgeva la caccia all’uomo a livello politico, mediatico e giuridico, il 19 gennaio del 2007 un diciassettenne fece fuoco per ben tre volte su Hrant Dink, uccidendolo in uno dei centrali quartieri di Istanbul, proprio all’ingresso del palazzo nel quale aveva la propria sede il giornale Agos.
La sera stessa, l’assassino fu arrestato. I media iniziarono a ricevere un filmato che mostrava l’assassino, in caserma, con due poliziotti intenti ad elogiarlo, in posa davanti alla bandiera turca. In pochi giorni si iniziarono a scoprire piccole incongruenze che fanno sì che il processo per l’omicidio di Dink prosegua tuttora: sotto accusa sono giudici, avvocati, poliziotti, parlamentari, giornalisti, politici e militari. Tutti elementi che dimostrano che non si sia trattato semplicemente di un omicidio ad opera di un adolescente impazzito.
Dopo l’esecuzione di Dink, sia come protesta spontanea sia durante il funerale, in diverse città della Turchia si sono svolte manifestazioni di massa. Da quando è iniziato il processo, in ogni udienza, sia dentro che fuori dal tribunale, sono migliaia le persone che si ritrovano per dimostrare alla famiglia Dink che non è sola.
Proprio ieri (17 Gennaio 2012) si è concluso il processo. Il risultato: tranne il vero assassino Ogun Samast, già condannato a ventidue anni, tra i sette indagati in cinque sono stati condannati tra i sei mesi ed i dieci anni. Secondo il tribunale dietro l’assassinio di Dink non esiste un’organizzazione criminale organizzata. Dopo cinque anni di maxi processo alla fine il caso si è ridotto in un semplice crimine ordinario nonostante le prove portate dagli avvocati di Dink che testimoniano l’esistenza di una parte occulta dello Stato (amministratori, militari, politici) corresponsabile dell’omicidio.