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Turchia: il punto sulle proteste

Creato il 06 giugno 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

Da giorni la Turchia è ormai teatro di guerra e di proteste. Le tensioni sociali offrono ogni giorno la fotografia sanguinante di un Paese

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Foto occupygezi

lacerato profondamente. Da Istanbul a Izmir ad Ankara, le rivolte sono divenute pian piano il pane quotidiano con cui i media di mezzo mondo immortalano la Turchia di oggi.

La rivolta è animata da un sentimento di rabbia sprezzante che è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni nei confronti del governo. Ed è così che la figura controversa del premier Erdogan campeggia oggi come simbolo di una lotta “senza esclusione di colpi”. Lui, Erdogan, che fu eletto 10 anni fa, ha dimostrato da subito la sua capacità di gestione dell’economia, ma ha da sempre peccato nel trascurare il suo popolo, facendo così da sostenitore al fondamentalismo di matrice islamica, con prese di posizione del tutto lontane dal rispetto dei diritti umani e dell’uguaglianza sociale: dal controllo ferreo delle nascite al divieto assoluto di alcol. Una politica di estrema austerità che ha la rabbia di questi ultimi giorni. E in aggiunta a questo, con il premier Erdogan molti soggetti accreditati agli organi di informazione sono stati arrestati, decretando ufficialmente una violazione della libertà di espressione; la stessa violazione che si è ripercossa sulla popolazione civile, che si è vista letteralmente schiacciare nei suoi diritti dalle forze di polizia, pronte a contrastare con la violenza ogni forma di dissenso al governo. La violenza di piazza ha scatenato la risposta accesa da parte del popolo di fronte all’abuso di potere manifestato dal governo nei confronti dei pacifisti in corteo. E proprio a conferma di quest’uso smodato della violenza, il premier Erdogan ha sottolineato che presto verrà costruita una moschea a Gezi Park e che i contestatori saranno appesi agli alberi. Un autoritarismo che fa certo pensare ad un regime dittatoriale, piuttosto che ad uno Stato dove viga la democrazia reale.

La medesima situazione si è concretizzata a Izmir, dove i manifestanti pacifisti – al pari di Istanbul – hanno protestato in piazza. Anche qui i gas lacrimogeni della polizia hanno contrastato la manifestazione di protesta, permettendo di entrare nella “zona rossa” solo ai social network come Twitter e Facebook, giacché gli organi di informazione ufficiali sono stati puntualmente respinti. Una sorta di zona d’ombra, in cui il regime esige apertamente il silenzio da parte del resto del mondo.
Alcune voci testimoniano che nella piazza di Izmir “c’erano pure i sostenitori del governo camuffati, fingendo di prender parte alla protesta. A un certo punto hanno invitato i manifestanti a raggiungere le strade interne per soccorrere altri gruppi in particolare difficoltà. In verità era solamente una trappola e siamo stati circondati”. Eppure, nonostante i sabotaggi e il numero di feriti che cresce ad ogni ora, la protesta pacifica continua per le strade maggiori della Turchia. Una lotta che non vuol essere affatto violenta da parte dei manifestanti. Un’altra testimonianza di un manifestante infonde chiarezza sugli intenti della protesta: “Oggi è il quarto giorno. Ogni notte sta divenendo peggiore di quella prima. Noi stiamo continuando con la resistenza non violenta e non abbiamo intenzione di rispondere alla polizia con le loro stesse armi. Stiamo tentando di resistere. Non faremo ritorno a casa!”.

Dalla capitale Ankara ecco un bollettino ufficiale che getta luce un po’ sulla situazione presente: “5 giugno_ Le proteste continuano in tutto il Paese. Da oggi si sono uniti alle proteste anche i sindacati federali KESK e DISK. Si attende una decisione riguardo ad un possibile, grande sciopero generale unitario”. Anche nella capitale la gente è esasperata dalle prese di posizione del governo locale, di questo suo inneggiare continuo al fondamentalismo e all’uso smodato della violenza armata. I manifestanti accusano il ripetuto abuso di violenza da parte della polizia. Sembra proprio che il premier Erdogan abbia addirittura esortato la polizia all’aggressività contro quanti si dichiarassero contrari alla politica del governo, e pertanto tutti i manifestanti – anche quelli pacifisti – che attualmente stanno riempiendo le principali piazze turche.

La lotta turca non è solo una lotta politica, ma una rivolta orientata a rivendicare ad oltranza i propri diritti e la propria libertà. La popolazione non intende più essere considerata un’inerte pedina di un sistema cieco e oltremodo violento.
Ancora da Ankara, le testimonianze riportate da chi si trova direttamente coinvolto nelle manifestazioni parlano di una situazione in cui il sangue non sembra destinato a fermarsi. Le parole riportate sono il simbolo forte di una condizione degenerata profondamente: “La gente è molto vulnerabile agli attacchi. Dateci più supporto possibile. La gente ha bisogno di posti sicuri per ripararsi e di cure per i feriti”. In questo scenario dove i mass media sono tremendamente ostacolati, e dove l’informazione sembra destinata ad una radicale manipolazione, l’unica via che ancora resta praticabile riguarda i social network, e quanti, direttamente dal “campo di battaglia”, possono farsi testimoni della situazione agghiacciante che attualmente insanguina la Turchia.

Articolo di Stefano Boscolo


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