Prima l’occupazione di Gezi park a Istanbul, poi la diffusione della protesta contro il governo in tutta la Turchia. A seguire gas, violenza, scontri. Ora nei parchi si discute di politica. Veri e propri forum, nei quali tutti parlano per alzata di mano.
“Parklar bizim” (I parchi sono nostri)
Qualcosa di estremamente unico e straordinario sta accadendo nei parchi dei maggiori centri urbani di Istanbul, Ankara, ed Izmir. A seguito delle proteste contro il governo turco, cominciate a fine maggio ad Istanbul e velocemente estesisi a macchia d’olio nelle maggiori città turche, a seguito delle originali proteste silenziose dello “standing man”, qualcosa di nuovo sta nascendo.
Assemblee popolari sono gradualmente emerse in tutti i quartieri dei principali centri urbani. Come accaduto precedentemente in Spagna e in Grecia, i manifestanti in Turchia hanno scelto una forma “costruttiva” di protesta, contrapponendo un modello di “democrazia diretta” a quello della “democrazia rappresentativa” neoliberale di Recep Tayiip Erdogan.
Prendendo a modello l’occupazione di Puerta del Sol a Madrid nel 2011, migliaia di persone si raccolgono ogni giorno nei parchi e nelle piazze, dando vita a vere e proprie assemblee popolari.
Le prime forme di assemblearismo ad Istanbul sono nate nel parco Abbasaga di Besiktas, dove migliaia di persone hanno cominciato a raccogliersi su base regolare a partire dalla seconda settimana di giugno. Altri centri nevralgici: il parco Cihangir di Beyoglu e il parco Yogurtcu di Kadikoy. Ad oggi, nella sola città di Istanbul sono attive più di 35 assemblee popolari.
Nella capitale Ankara, ben 14 forum si sono costituiti spontaneamente nei parchi, e ad Izmir (la terza città più popolosa della Turchia) ben 16 “contact point” (piazze e parchi) sono state adibiti a luoghi pubblici di dibattito. Oltre ai forum delle tre maggiori città turche, assemblee popolari sono state costituite anche nei centri di: Adana, Antalya, Bodrum, Bursa, Eskisehir, Edirne, Izmit, Mugla, Samsun, Sakarya, Tekirdag.
Cosa si discute nei parchi? Come funziona? Chi sono i partecipanti? Quali le richieste? Quali i risultati attesi?
Sono queste le domande che da giorni pongo agli attivisti durante gli incontri tenutisi nelle scorse settimane a piazza Gundogdu e sul Kordon (lungomare di Izmir).
I temi sono molteplici: si spazia da educazione, salute, energie rinnovabili, rifiuti, economia, politica locale, nazionale, estera, a temi specifici quali i diritti delle minoranze, i diritti dei LGBT, (,Lesbian, Gay, Bysexual, Transexual), e perfino i diritti degli animali e lo sviluppo sostenibile dell’ambiente.
Riguardo al funzionamento logistico delle assemblee (o forum), i gruppi si auto-organizzano sui social network, in particolare facebook, twitter e blog (parklar bizim). Le assemblee sono aperte al pubblico e vedono la presenza di un moderatore, che viene selezionato a rotazione tra coloro che spontaneamente si propongono. Nei parchi e nelle piazze di Izmir, dato l’esiguo numero di partecipanti, le discussioni avvengono per alzata di mano e le decisioni vengono prese a maggioranza. Nei parchi di Isanbul, data la massiccia partecipazione delle varie frange di popolazione, le discussioni avvengono a turni, seguendo l’ordine di liste (con i nomi e i dati dei partecipanti).
I “forum del popolo” sono aperti a tutte le “voci”, singolarmente portatrici di specifiche istanze. Ci sono studenti (che propongono idee su un sistema educativo più egualitario e distributivo), lavoratori (che discutono sulla possibilità di creare sindacati indipendenti dal governo e rappresentavi dei loro diritti), donne (che acclamano ad una reale eguaglianza di genere, in politica e a lavoro, oltre che all’abolizione della legge sull’aborto illegale), rappresentanti dei LGBT (che chiedono diritti e riconoscimenti agli omosessuali) disoccupati, anziani. Ci sono anche voci che propongono l’abbassamento della soglia di sbarramento per l’entrata dei partiti in Parlamento dal 10% all’1%, in modo da garantire una rappresentanza inclusiva di tutti i gruppi. Ci sono poi alcuni ex-sostenitori del governo AKP, che si scusano con i presenti per la loro scelta politica, e che dichiarano di essere fieri di essere passati dall’altra sponda: quella dei çapulcu, ossia dei marginali. Ci sono kurdi e armeni, che implorano l’interruzione del linguaggio razzista e discriminatorio utilizzato nei media, e il riconoscimento dei diritti civili e politici che democraticamente gli spettano.
Cosa non c’è nei forum popolari: non ci sono partiti, non ci sono sigle. Ci sono solo bandiere: quella turca, e quella della pace. Uno degli attivisti con il quale ho chiacchierato, che segue e organizza i forum ad Istanbul (e preferisce restare nell’anonimato), mi spiega che il tono e il colore degli incontri devono restare opachi ma soprattutto “apolitici“, nel rispetto di “idee individuali e non raggruppate sotto il segno e l’interesse di un partito”. Inoltre, aggiunge, “l’idea stessa di partito è qualcosa che nasce per rappresentare gli interessi di una parte, di una setta, di un gruppo ristretto di persone, e non di tutti”. “Pertanto”, conclude, “preferiamo non essere etichettati, o tutt’al più essere definiti: movimento“.
Con riguardo alle richieste, dato il numero e la composizione così variegata dei partecipanti, è difficile canalizzare le istanze in punti. L’unico elemento unificatore è la “lotta per la libertà” e il riconoscimento di diritti per tutti, che automaticamente si traduce in “Tayiip istifa!” (Erdogan, dimettiti!), oppure in “Faşizme karşı, omuz omuza” (Spalla a spalla, insieme contro il fascismo).
I risultati attesi? Anche questi, molto difficili da prevedere. Come mi spiega il mio intervistato, “è impossibile parlare di cosa diventeremo, di che cosa riusciremo o meno a trasformare. Forse ci vorranno mesi, forse anni. In questo momento il nostro movimento è paragonabile ad un bebek (bambino), che per crescere deve essere nutrito e seguito“. L’idea del bambino mi è piaciuta molto, e mi ha fatto riflettere sul movimento “Cinque stelle” in Italia, sulla sua nascita e sulla sua “cristallizzazione” (con tutti i ‘ma’ del caso) in Parlamento.
“Quello che”, come mi spiega un altro attivista, “è il nostro punto di forza, è il supporto internazionale di altri gruppi, con particolare riferimento a Grecia e Spagna”. A settembre sarà organizzato un meeting di una settimana a Foça (località balneare vicino Izmir), il cui scopo sarà l’incontro di tutti i gruppi turchi ed esteri, che vogliono prendere parte al “cambiamento della Turchia”, e più in generale, al “cambiamento della democrazia”.
Rileggendo e riflettendo sul fenomeno unico e originale delle assemblee turche mi vengono in mente le piazze della Magna Grecia, dove la politica è nata dalla “polis” (città) e dove la democrazia funzionava per alzata di mano, nel rispetto del principio categorico “demos” “kratos” (potere del popolo).
Cosa è successo dopo? L’avvento delle democrazie rappresentative, della politica fatta in Parlamento, del voto che diventa la “surroga” del cittadino. E cosa succede ora nella calda Turchia? Si ripensa ad un modello di democrazia diretta, che non è alternativo ma primogenito e originario. L’assemblea, l’antica ‘agora’ greca che rivive dopo cosi tanti secoli in un’altra città del Mediterraneo.
E infine rifletto sul fatto che, dopo tutte le analisi, le speculazioni, gli articoli e le ricerche degli “esperti” di Turchia (sottolineando che dopo i fatti di Gezi sono stranamente tutti “professori” di storia turca), forse gli eventi sono stati misinterpretati. Forse non si trattava della moschea e del centro commerciale, o dell’Islam, o della crisi del secolarismo.
Forse si tratta di qualcosa di più grande, ossia della crisi delle democrazie rappresentative ed esclusive (come quella turca, il cui sistema elettorale prevede la soglia di sbarramento più alta d’Europa) e dell’urgente necessità di inclusione e partecipazione. In altri termini, una democrazia per tutti, più vicina al cittadino, che riconquisti la purezza e l’ideale un po’ sbiadito del “demos”, ossia del popolo. Se rileggiamo le rivolte in Egitto, come in Bulgaria, e Brasile, in chiave di democrazia rappresentativa vs. democrazia diretta (e inclusiva, ossia partecipativa), forse riusciremo a comprenderne la profondità. Questo, senza passare grossolanamente da Tahrir a Taksim, dando a eventi diversi denominazioni simili, ma analizzando più generalmente la crisi di un modello, o forse di un sistema.
Fermo restando che la mia è solo una delle possibili interpretazioni, l’assemblearismo turco rappresenta di per sé un’interessante lezione di democrazia.
“Do you hear the people sing?
Singing a song of angry men?
It is the music of a people
Who will not be slaves again!
When the beating of your heart
Echoes the beating of the drums
There is a life about to start
When tomorrow comes!”