di Filippo Urbinati
All’indomani dell’elezione di Recep Tayyip Erdoğan a Presidente della Repubblica e della promozione di Ahmet Davutoğlu da Ministro degli Esteri a Primo Ministro, la Turchia si trova a dover affrontare una non facile situazione dal punto di vista delle relazioni internazionali. Mentre i rapporti con l’Unione Europea permangono stagnanti e quelli con gli alleati occidentali vivono una nuova fase di ambiguità, le numerose crisi che stanno scuotendo il Medio Oriente hanno incrinato la posizione del Paese nell’area. Unico Stato rimasto allineato alle posizioni di Ankara pare essere il Qatar [1].
Questa relazione, fondata anche su legami economici crescenti [2] trova la propria ragion d’essere in una comunione di intenti che è divenuta sempre più marcata dal 2011, ossia dall’esplosione delle cosiddette Primavere Arabe, ed è divenuta più evidente con l’insorgere delle due recenti crisi di Gaza, quelle del 2012 e del 2014. Durante il mese di luglio, a causa del rifiuto delle due parti in conflitto di accettare le proposte di tregua egiziane, il Segretario di Stato americano John Kerry ha richiesto l’intervento di Turchia e Qatar – al momento gli unici sponsor politici ed economici di Hamas, dopo la defezione della Siria e il ridimensionato supporto dell’Iran – per giungere ad un piano atto a risolvere la crisi. Alla base di questa richiesta vi sarebbe stato il semplice principio per cui non è possibile giungere ad una soluzione di una disputa senza consultare una delle due parti in lotta. Data l’impossibilità di dialogare direttamente con Hamas, da molti considerata un’organizzazione terroristica, la scelta è ricaduta sui due attori che hanno maggiormente supportato le sue rivendicazioni. Ankara e Doha si sono infatti contraddistinte negli ultimi anni per l’appoggio dato al governo della Striscia di Gaza attraverso aiuti economici e supporto diplomatico. Lo sceicco Hamad bin Khalifa al-Thani, padre dell’attuare Emiro Shaikh Tamim, è stato nel novembre del 2012 il primo Capo di Stato a recarsi in visita a Gaza dopo che Hamas ne ha acquisito il pieno controllo nel 2007 a seguito della cosiddetta “Battaglia di Gaza”, che portò all’espulsione della fazione rivale di Fatah. Durante la sua visita l’Emiro aveva promesso 400 milioni di dollari per svariati progetti infrastrutturali [3]. Recentemente Doha ha provato a trasferire centinaia di milioni di dollari, attraverso la Jordan’s Arab Bank, destinati a pagare una parte degli stipendi dei funzionari di Hamas. Il finanziamento è stato però bloccato dalla banca su richiesta degli Stati Uniti [4]. E’ nell’emirato, inoltre, che risiede il leader esiliato di Hamas, Khaled Meshaal, dove gode di ampio spazio all’interno del palinsesto di al-Jazeera [5]. Meshaal è tornato a vivere a Doha (aveva già vissuto nella capitale qatarina tra il 1999 e il 2001) nel febbraio del 2012 dopo che l’evolversi della crisi siriana aveva spinto il leader islamista a lasciare Damasco, dove durante gli anni Novanta e buona parte dei primi Duemila aveva trovato rifugio grazie alla protezione del regime di Bashar al-Assad. Con l’insorgere delle Primavere Arabe, e in particolare con l’acuirsi della crisi siriana nel 2012, Meshaal dovette abbandonare il suo esilio dorato damasceno a causa delle critiche rivolte al regime alawita e soprattutto per aver sostenuto la causa dei ribelli siriani sunniti in funzione anti-Assad [6].
Anche la Turchia non è stata da meno. A partire dal celebre episodio consumatosi al summit di Davos del 2009, in occasione del quale Erdoğan si scagliò contro l’allora Presidente israeliano Shimon Peres accusandolo di «avere la coscienza sporca del sangue dei palestinesi morti [nell'operazione Piombo Fuso]», il leader turco ha reiterato le proprie posizioni sulle operazioni israeliane nella Striscia [7] offrendosi anche di fornire 300 milioni di dollari all’anno per sostenere il governo palestinese a Gaza [8].
L’idea di Kerry di coinvolgere Turchia e Qatar per trovare una mediazione con Hamas, basata come detto su questo semplice principio, non aveva fatto i conti con alcune questioni. Innanzitutto la solitudine internazionale nel quale si trovano i due attori. Entrambi infatti, durante le rivolte del 2011, si erano schierate a favore dei governi islamisti ed in particolare della Fratellanza Musulmana, come quello egiziano guidato da Mohammed Mursi. Proprio questo sostegno alla causa islamista li ha resi particolarmente invisi all’establishment militare egiziano dopo il golpe del 2013 e poi continuato con l’ascesa alla presidenza di Abdel Fattah al-Sisi nel maggio scorso. Il cambio di regime in Egitto ha creato diverse tensioni tra Il Cairo e i suoi due ex alleati. La Turchia ha ritirato nel novembre 2013 il proprio rappresentante diplomatico dall’Egitto, registrando così il livello più basso di sempre nelle relazioni turco-egiziane [9]. Il Qatar, invece, è stato accusato di aver fomentato le rivolte di piazza dell’agosto 2013. Principale bersaglio è stato il religioso Yusuf al-Qaradawi, studioso islamico di origine egiziana che vive da anni in Qatar, considerato l’ideologo della Fratellanza Musulmana. Lo scorso febbraio lo Stato egiziano ha richiesto ufficialmente l’estradizione dello studioso per ora negata dal Qatar (nonostante alcuni rumors emersi nel mese di aprile indicassero come imminente la partenza di al-Qaradawi da Doha) [10]. L’appoggio di Doha agli islamisti aveva creato anche alcune frizioni tra l’emirato e gli altri governi del Golfo al punto da spingere Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrain a ritirare i propri ambasciatori dal Qatar nel marzo scorso [11]. A tali attriti bisogna aggiungere anche gli effetti di un’altra crisi che, ormai da alcuni anni, sta destabilizzando il Medio Oriente, ossia la guerra civile siriana. Nel conflitto contro Bashar al-Assad sia Ankara sia Doha hanno sostenuto in maniera esplicita la causa dei ribelli appoggiando le fazioni islamiste sunnite in lotta contro il Presidente. Ciò ha inasprito i rapporti con il mondo sciita e, in particolare, con Teheran, il principale fornitore di armamenti dello stesso Hamas. Discorso simile può essere riportato per quanto riguarda la crisi irachena in cui Turchia e Qatar sono state accusate di aver favorito l’emergere dello Stato Islamico di Iraq e Siria (ISIS) [12].
Un altro fattore che ha contribuito al naufragio del progetto turco-qatarino è stata l’evoluzione dei rapporti intra-palestinesi. Da questo punto di vista la crisi di Gaza ha rinvigorito i dissidi tra Hamas, che detiene il controllo della Striscia, e al-Fatah, al governo in Cisgiordania, annullando di fatto il tentativo di riconciliazione avvenuto la scorsa primavera. Nel mese di aprile infatti si era giunti ad un accordo che prevedeva la creazione di un governo tecnico presieduto da Abu Mazen che sarebbe dovuto sfociare in elezioni politiche e presidenziali nel giro di sei mesi. Il copione è lo stesso che era stato seguito nei precedenti tentativi del 2007 (sponsorizzato dall’Arabia Saudita), 2011 (sotto l’egida dell’Egitto) e 2012 (con i buoni uffici del Qatar), tentativi tutti falliti a causa delle tensioni intra-palestinesi [13]. Con l’emergere della crisi del luglio-agosto 2014, la comunità internazionale si è dimostrata maggiormente intenzionata a dialogare con Fatah piuttosto che con Hamas e, conseguentemente, ad incentivare la ricerca di una soluzione sotto la guida del Cairo piuttosto che di Ankara e di Doha [14].
Vi è infine un altro fattore da prendere in considerazione. Mentre la mediazione turco-qatarina avrebbe potuto coinvolgere Hamas, non lo stesso si può dire per lo Stato di Israele. Tel Aviv è andata su tutte le furie all’ipotesi di un piano messo a punto da Ankara e Doha, accusando apertamente Kerry di tentare di favorire Hamas a scapito dell’alleato israeliano. La rabbia di Netanyahu si è spinta ad un livello tale che Obama si è trovato costretto a scusarsi con Tel Aviv per quanto successo [15]. Lo stato delle relazioni tra Turchia e Israele si trovava già ad un livello basso a causa del ritardo nell’approvazione delle compensazioni da parte di Tel Aviv per l’incidente della Mavi Marmara nel quale l’esercito israeliano è intervenuto per impedire alla nave della Freedom Flottilla di forzare il blocco di Gaza per portare aiuti umanitari nella striscia, causando la morte di nove attivisti, otto dei quali di nazionalità turca. Sotto la pressione di Obama, nel marzo dello scorso anno Netanyahu si era ufficialmente scusato e ha promesso una compensazione [16], la cui implementazione però non è ancora stata firmata. L’inizio dell’operazione Protective Edge ha spento le flebili speranze di riappacificazione, essendo la sorte di Gaza un argomento sensibile alla vigilia delle elezioni presidenziali. Complicate anche le relazioni di Tel Aviv con il Qatar, presentato dai media israeliani come il principale sponsor di quella che considerano un’organizzazione terroristica [17].
Il naufragio del progetto di mediazione turco-qatarina non ha però scalfito l’intenzione di Kerry di coinvolgere i due Paesi nella soluzione della crisi di Gaza. Il Segretario di Stato avrebbe infatti contattato i due governi per porsi come mediatori per il rilascio dell’ufficiale israeliano Hadar Goldin che sembrava fosse stato catturato dalle forze di Hamas [18] (richiesta resa vana dalla comunicazione dell’esercito israeliano con cui veniva resa nota la morte in combattimento del soldato smentendo l’ipotesi di rapimento). A meno di un mese di distanza la testata libanese al-Akhbar riporta il coinvolgimento del duo per il rilascio del personale di sicurezza libanese preso in ostaggio dall’ISIS [19].
Le relazioni tra Turchia e Qatar si sono notevolmente intensificate negli ultimi mesi. Ankara e Doha siedono dalla stessa parte della barricata in numerose questioni che stanno scuotendo il Medio Oriente. Proprio queste, piuttosto che una precisa volontà politica, sono la causa dell’azione congiunta. Se nel 2011 entrambi i Paesi avevano visto negli eventi regionali l’occasione per esportare, da un lato, il proprio modello di democrazia in un Paese islamico e, dall’altro, per estendere il proprio soft power tale da influenzare le scelte dei nuovi governi islamisti che da lì a poco sarebbero sorti, ad oggi Turchia e Qatar non solo hanno dovuto rivedere le proprie strategie di politica estera, ma sembrano anche arrancare nella ricerca della propria collocazione regionale e, dunque, internazionale. La loro azione congiunta appare oggi come l’unico fattore in grado di aiutarli a raggiungere questo obiettivo.
* Filippo Urbinati è Dottore in Relazioni Internazionali (Università di Bologna)
[1] Questa tesi è stata sostenuta in più di un’occasione dall’importante giornalista turco Semih İdiz. Si veda Semih İdiz, Turkey, Qatar seek foothold in Gaza talks, in “Al-Monitor”, 29 luglio 2014 oppure Semih İdiz, Amid regional instability, Turkey focuses on domestic agenda, in “Al-Monitor”, 15 agosto 2014.
[2] Fehim Taştekin, Turkey, Qatar strengthen economic ties, in “Al-Monitor”, 9 maggio 2014.
[3] Jodi Rudore, Qatar’s Emir Visits Gaza, Pledging $400 Milion to Hamas, in “The New York Times”, 23 ottobre 2012.
[4] Elhanan Miller, US blocked Qatari funds intended for Hamas employees, in “The Times of Israel”, 15 luglio 2014.
[5] Amena Bakr, Qatar seeks role as Gaza mediator, Israel wary, in “Reuters”, 17 luglio 2014.
[6] Hamas political leaders leave Syria for Egypt and Qatar, in “BBC”, 28 febbraio 2012.
[7] Ariel Ben Solomon, Erdogan accuses Israel of ‘using terrorism’ in its operations against Hamas in Gaza, in “The Jerusalem Post”, 14 luglio 2014.
[8] Zvi Ba’rel, Turkey may provide Hamas with $300 million in annual aid, in “Haaretz”, 28 gennaio 2012.
[9] Heather Saul, Egypt expels Turkish ambassador following Prime Minister Recep Tayyip Erdogan’s call for release of Mohammed Morsi, in “The Indipendent”, 23 novembre 2013.
[10] Shabina S Khatri, Egypt demands extradition of Sheikh Yusuf Al Qaradawi from Qatar, in “Doha News”, 5 febbraio 2014 e Nada Badawi, Al Qaradawi debunks rumors that he is being deported from Qatar, “Doha News”, 20 aprile 2014.
[11] Simeon Kerr, Diplomatic crisis as Gulf states withdraw ambassadors from Qatar, in “Financial Times”, 5 marzo 2014.
[12] Per una visione di insieme si veda F. Gregory Gause, ISIS and the New Middle East Cold War, in “Brooking Institute”, 25 agosto 2014. Sulle accuse direttamente rivolte al Qatar si veda, Michelle Martin, Amena Back e Angus McDowall, German minister accuses Qatar of funding Islamic State fighters, in “Reuters”, 20 agosto 2014. Per quelle alla Turchia, si veda, Kadri Gürsel, Davutoglu faces uneasy relationship with Assad, in “Al-Monitor”, 24 agosto 2014.
[13] Marco Hamam, Le Elezioni Palestinesi, in “Atlante Geopolitico Treccani 2012”.
[14] Semih İdiz, op.cit.
[15] Cengiz Çandar, Will Turkey, Qatar persuade Hamas to hand Gaza to PA?, in “Al-Monitor”, 31 luglio 2014.
[16] Joel e Wilson Greenberg, Obama ends Israel visit by brokering end to dispute with Turkey, in “The Washington Post”, 22 marzo 2013.
[17] Jonathan Syper, Qatar, Hamas and the Gaza war, in “Breaking Israel News”, 14 agosto 2014.
[18] Michael R. Gordon, Kerry Calls on Qatar and Turkey to Gain Release of Israeli Soldier, in “International New York Times”, 1 agosto 2014.
[19] Turkey, Qatar negotiating with ISIL for Lebanese hostages, in “Hurriyet Daily News”, 28 agosto 2014.
Photo credits: AA Photo
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