di Pietro Acquistapace
In Turkmenistan si sono tenute le elezioni presidenziali, ma in quello che è uno degli Stati più repressivi e isolati del mondo, dove il culto della personalità è assolutamente di casa, la cosa non fa notizia. Si aspettano gli esiti della votazione, la seconda dall’indipendenza del 1991, ma la riconferma del presidente Gurbanguly Berdymukhammedov sembra essere assolutamente scontata. Al punto che l’Osce non ha nemmeno ritenuto fosse il caso di inviare osservatori ufficiali, considerando l’inutilità della cosa visto il contesto politico turkmeno.
Gli avversari del presidente in carica sono sette, scelti da un organismo apposito e sono tutti ministri in carica o dirigenti di compagnie statali. La candidatura è avvenuta solo due mesi prima dalla data delle votazioni, limitando così la loro ipotetica campagna elettorale, che dove non assente è stata di supporto a Berdymukhammedov e tenuta in locali tapezzati di sue foto, come lo è del resto tutto il Turkmenistan.
Le elezioni sembrano quindi non avere rilevanza in un paese dove l’unica politica davvero importante è quella energetica. Il Turkmenistan è il quarto paese al mondo per riserve di gas e si trova in una posizione geostrategica cruciale. Allentati i lacci dell’ingerenza di Gazprom, e quindi della Russia, il remoto paese centroasiatico sembra volgersi ora alla Cina, ma senza girare del tutto le spalle all’Ue, sebbene con quest’ultima le relazioni procedano a rilento sia per le pressioni di Russia e Cina, sia per le questioni relative ai diritti umani. L’Europa d’altrocanto, a sua volta pressata da opinione pubblica e organizzazioni non governative, vorrebbe una democratizzazione della società turkmena che sembra difficile possa arrivare a breve, almeno secondo i report e le analisi di ong come Human Rights Watch e Amnesty.
Diventa allora interessante notare come la “campagna elettorale” di uno dei candidati, Esendurdy Gayypov, sia stata improntata tutta sull’intensificazione delle relazioni commerciali, in particolare l’esportazione di gas, con l’Ue. Con tutta probabilità si tratta di un espediente di Berdymukhammedov per valutare l’impatto di tale politica sull’opinione pubblica internazionale.
Sotto questo punto di vista va tuttavia sottolineato come a metà gennaio sia stata approvata una legge che chiude l’epoca turkmena del monopartitismo, il Partito democratico del Turkmenistan non sarà più l’unico partito esistente. Tuttavia coloro che, a seguito di tale legge, si sono presentati alle autorità per poter registare delle formazioni politiche sono stati respinti a vario titolo e in un caso il richiedente è stato addirittura imprigionato con l’accusa di frode.
Ma dietro questa apertura democratica ci sono ragioni più profonde. Anche il Turkmenistan sembra essere rimasto impressionato dalle rivolte arabe del 2011 e dalla seppur remota possibilità che la leadership venga messa in discussione. Lo stesso è avvenuto nel vicino Kazakhstan, come recentemente riportato da East Journal. Teoria supportata da studiosi del calibro di Sebastien Peyrouse membro del Johns Hopkins University’s Central Asia-Caucasus Institute.
L’esito delle elezioni appare quindi assolutamente scontato vista la disparità delle forze in campo, e riprendendo un articolo di Eurasia.org si può dire che “il Turkmenistan ha adattato alla politica la favola di Biancaneve e i sette nani”. Aspettiamoci quindi di vedere ancora Berdymukhammedov agli onori delle cronache per i libri sui cavalli, le erbe turkmene e i suoi progetti di investimento faraonici, come l’albergo di marmo sul Caspio, in diretta continuità col suo precedessore Nyazov. A sua parziale scusante potremmo dire che all’epoca di Nyazov alle pubbliche autorità non era permesso di recarsi all’estero, il che rende la classe politica turkmena priva di qualsiasi riferimento a modelli che non siano il culto della personalità.