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Il Piano 2013 tiene così conto non solo dei vincoli di bilancio, dei vincoli europei, ma anche dei vincoli ambientali. E fa perno su un antico pilastro della “cultura Cgil”, quella cultura che faceva comprare allo stesso Di Vittorio ragazzo un vocabolario, come primo libro. Oggi è l’organizzazione che rilancia l’apprendimento permanente, «centocinquanta ore alla rovescia», ovverosia quel tempo usato negli anni 70 dagli operai, per studiare, come arma per sostenere l’occupabilità, per cercare di superare il muro del precariato. Perché “sapere” è “potere” e il sindacato può essere una miniera di informazioni e conoscenze da distribuire.
Non è stato un comizio quello di Susanna, ma un lungo ragionamento basato su articolati propositi. Nemmeno condito da invettive rivolte ai tanti (il supertecnico presidente del Consiglio in testa) che hanno voluto dipingere il principale sindacato italiano, come una palla al piede, vero responsabile degli enormi guai sociali del paese. Domani molti giornali non potranno fare il titolo: «Monti, sei tu la palla al piede», oppure ridurre il tutto a «La Cgil fischia Monti». Certo potranno rifarsi magari sostenendo che quello della Cgil è «un libro dei sogni». Oppure cercando di dimostrare che siamo di fronte a una cinghia di trasmissione all’incontrario con il Pd al seguito di Camusso, oppure ricalcando il tema delle divisioni (lei vuole la patrimoniale, Bersani no). Mentre altri, come hanno già cominciato a fare, riprenderanno le parole di Alcide De Gasperi (che secondo alcuni sarebbe il precursore di Monti) che nel 1949 disse a Di Vittorio che i piani non bastavano, occorrevano i quattrini. Eppure nel piano 2013 c’è un lungo approfondimento sui possibili finanziamenti, e non c’è solo la fatidica patrimoniale, c’è anche la proposta di un uso diverso della Cassa depositi e prestiti, come avviene in altri Paesi europei.
Certo la Cgil nel discorso di Susanna, non appare certo come una specie di Cgt francese intenta a dettare piani in stile sovietico. Semmai testimonia la volontà di uscire da una fase solo difensiva (una critica avanzata a suo tempo da dirigenti come Trentin e Foa), per lanciare una sfida propositiva. Quante volte è stata incalzata perché, si diceva, sapeva dire solo dei no?
Eccoli, ora, tutti i si della Cgil. Senza la pretesa di dettare i compiti (come se Camusso fosse una Merkel nostrana) a Bersani, a Vendola o a Ingroia. Sono avanzate proposte a nome di un collettivo ampissimo di donne e di uomini. Perché quel piano non è nato nel buio di qualche segreta stanza, è frutto di decine e decine di riunioni che hanno percorso la penisola. Ne sa qualcosa Gaetano Sateriale, ex sindaco di Ferrara, ma con un serio passato di sindacalista, anche alla Fiom, e che ha svolto assemblee ovunque da Milano a Palermo. Così questa “bozza” farcita di tabelle e di paragrafi dovrà tornare nei territori e cominciare a muovere i primi passi, attraverso quella che si chiama contrattazione sociale, contrattazione territoriale. Magari confrontandosi con i propositi della Confindustria (che ha obiettivi certo discutibili, come quelli di voler puntare solo sulla ricetta “esportazioni”) e con quelli di Cisl e Uil, che sembrano dedicarsi principalmente a obiettivi a favore degli attuali occupati.
Lo stesso sindacato nel suo insieme, del resto, non potrà più essere quello di un tempo. Non sarà abolito come auspica Grillo, ma dovrà rinnovarsi, per non ridursi a un pezzo burocratico. Magari seguendo, come ha suggerito un funzionario “immigrato”, le orme del sindacato di strada sperimentato nelle campagne meridionali. Soprattutto ritrovando una capacità di estesa e partecipata rappresentanza, perseguendo le vie tracciate nell’accordo unitario del 28 giugno 2011 che parlava di rappresentanza e rappresentatività, ma che è rimasto lettera morta. Senza aspettare che sia il dono di un governo “amico”.
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