A cura della Dottoressa Anna Chiara Venturini, Psicologa Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale a Roma.
L’umorismo è una grande risorsa umana e chi si occupa di formazione e crescita personale come me, lo sa bene. Sebbene Freud, il primo ad occuparsene, lo avesse etichettato come il più eminente meccanismo di difesa. Sottolineandone la funzione di argine, in realtà è stato rivalutato da recenti ricerche quale elemento facilitatore nella costruzione della relazione terapeutica.
Quando ridiamo e scherziamo si attivano molteplici reazioni chimiche che favoriscono l’apprendimento, la memoria e la capacità attentiva, oltre a consentire l’acquisizione di nuovi punti di vista per vedere il lato più comodo e surreale della vita.
Purtroppo sino ad oggi lo studio dello humor in ambito terapeutico si suppone sia stato tralasciato per l’”inopportunità” di tale atteggiamento all’interno del setting terapeutico serio e rigoroso in cui battute e contenuti sarcastici sono fuorvianti e fuori luogo.
In realtà le recenti ricerche promosse dalla AATH ( Association for Applied and Therapeutic Humor) hanno evidenziato la positività dell’umorismo terapeutico, definendolo “intervento che promuove salute e benessere attraverso lo stimolo di una scoperta divertente o l’apprezzamento di assurdità o di incongruità nelle situazioni di vita. Questo intervento può migliorare la salute o essere utilizzato come trattamento complementare nella malattia per facilitare la guarigione o il coping fisico, emozionale, cognitivo, sociale o spirituale”
Ma a cosa serve lo humor in terapia? Quali sono gli effetti benefici?
Anzitutto è bene tener presente che la percezione dell’umorismo può variare durante la seduta in base all’argomento affrontato, allo stato emotivo e mentale del paziente ed alla fase della terapia: è chiaro che fare una battuta su un argomento che in realtà per il paziente è di estrema importanza, può risultare inopportuna poichè svalutante la tematica trattata e le emozioni che in quel momento la persona di fronte a noi ha messo a nudo .
E’ chiaro , quindi, come non esista la ricetta per un corretto utilizzo dello humor e che molto dipende dalle personalità in gioco e dalle capacità empatiche del terapeuta.
Affinchè l’umorismo produca effetti benefici, è dunque importante, che il terapeuta conosca indicazioni e controindicazioni per aver chiaro come e quando ricorrere ad esso.
Ad esempio, in fase di assessment, ovvero durante le prime sedute, se da un lato può ridurre le distanze tra terapeuta e paziente, dall’altro è facile incappare in battute fuori luogo poichè ancora non si conosce il tipo di umorismo del paziente e soprattutto, in questi primi incontri, in cui non si è creato ancora un rapporto di fiducia , è bene lasciare il paziente libero di essere e di esprimersi: una battuta potrebbe infatti esser percepita come un giudizio e incrinare così la costruzione della fiducia, alla base dell’alleanza terapeutica.
Diverso invece è l’utilizzo che se ne può fare durante il percorso terapeutico: può essere utile sia per favorire la creazione della relazione, mettendo il paziente a proprio agio, sia per ridurre lo stress legato all’impatto emotivo della problematica riportata dal paziente. In questo caso tuttavia è bene tener presente la sottile linea che esiste tra il ridimensionare la visione del paziente e lo svalutarla: insegnare a vedere un lato divertente e surreale non significa che quello che sta provando o vivendo sia di poco conto, ma può essere incoraggiato a regolare le sue emozioni, trasformandole da negative in positive.
L’umorismo è pertanto un’efficace strategia di coping che può essere appreso in terapia e che può portare la persona a leggere differentemente le cose che accadono: visioni apparentemente incompatibili vengono prese in considerazione, erodendo progressivamente la rigidità cognitiva iniziale.
Si passa così da “Sono problematico” a “Ho un problema” a “C’è qualcosa che potrebbe funzionare diversamente”: la defusione sposta così il focus dalla persona al suo funzionamento, ridimensionando il carico emotivo portato dall’individuo.
Tuttavia, come detto in principio, lo humor può essere un arma a doppio taglio poichè, se da un lato dà ottimi risultati se utilizzato in modo genuino ed empatico, dall’altro può risultare controproducente quando diventa sarcasmo e svalutazione.
In tal caso può nuocere alla sensibilità del paziente che non si sente preso sul serio e svalorizzato, anche a danneggiare la relazione terapeutica che vede venir meno l’empatia e la fiducia reciproca. Anzichè ridurre le distanze, un intervento inappropriato le aumenta, ponendo il terapeuta su un gradino più elevato da cui il paziente si sente sminuito, giudicato e non capito.
Come tuttavia ben sappiamo, in psicoterapia si incontrano due persone con due differenti strutture di personalità ed è importante che il terapeuta conosca i propri meccanismi dell’umorismo onde evitare di incappare in quelli che secondo Pierce sono gli errori più frequenti:
- Commenti umoristici non pertinenti: il terapeuta cambia argomento e fa riferimento ad un altro non attinente. Molto probabilmente si tratta di una gratificazione narcisistica che il terapeuta vuol ottenere attraverso un intervento non centrato su chi ha davanti, bensì su di sè ( il terapeuta può rendere narcisisticamente i pazienti degli spettatori)
- Uso dello humor in modo difensivo: il terapeuta lo utilizza per spostare l’attenzione da temi che lui non riesce a gestire. Il risultato è che il clima è alleggerito e il tema viene sviato.
- Uso dell’umorismo per attaccare: si tratta di commenti atti a prenderi gioco del paziente. Questo tipo di humor può nascondere sentimenti di rabbia e frustrazione più o meno consapevoli da parte del terapeuta ( caratteristiche sadiche del terapeuta)
Tuttavia, anche da parte del paziente può esserci un utilizzo disfunzionale dell’umorismo, volto a sedurre o a svalutare il terapeuta, come anche ad allontanare la sofferenza legata a ricordi dolorosi.
Ecco quindi che un utilizzo sano e non strumentale dell’umorismo, promuove la creazione di un rapporto positivo proprio per il senso di reciprocità legato al condividere le diverse emozioni, agevolando il cambiamento di prospettiva, la presa di coscienza e l’elaborazione di significati più adattivi.
Come sosteneva Bandler “la seriosità è una malattia”: impariamo quindi a ridere con gli altri e a sorridere di noi stessi poichè si rivelerà una risorsa importante lungo la strada della vita e potremo proprio scoprirla all’interno di una relazione terapeutica “seriosamente umoristica”.
Bibliografia
Pierce R.A. (1994), “Practice considerations: use and abuse of laughter in psychoetherapy.” H.S. Strean (Ed.)
Franzini L. (2001), “Humor in Therapy: the case for training therapist in its uses and risks”, Journal of General Psychology 128 (2), 170-193
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