Un bando dell'altro Melpum!
Da Rici86
Quando ho scoperto dell'esistenza di un bando ministeriale dedicato a 500 giovani professionisti della cultura, tutte le mie antennine si sono attivate di colpo. Quando poi ho saputo che si trattava di digitalizzare il patrimonio culturale italiano, la mia mente ha iniziato a vagare lontano, già immaginando l'immane lavoro e pregustandone i risultati finali, sognando che si trattasse soltanto di un inizio, un trampolino di lancio verso una miglior cura dei nostri beni culturali e la giusta valorizzazione dei professionisti che se ne preoccupano o se ne vorrebbero preoccupare. Quando ho letto per la prima volta i requisiti di accesso, sono rimasta colpita dalle alte qualifiche richieste: buona conoscenza della lingua inglese, laurea con voto minimo 110/110, età inferiore ai 35 anni. Ma sono anche rimasta piacevolmente sorpresa: ciascuno dei requisiti mi calza a pennello! Quando ho letto ciò che veniva dato in cambio, però, la sorpresa si è trasformata in sgomento: un'indennità di partecipazione a un'attività definita di formazione, per la durata di 12 mesi, dall'entità veramente irrisoria. 5000€ annui. Che si traduce in 416€ mensili. Lordi ovviamente. Non ho neppure dovuto fare un calcolo mentale approssimativo delle spese di viaggio, vitto e altro: inutile anche pensarci. Navigando poi un po' più in profondità, ho scoperto di non essere la sola, diciamo, perplessa. Meglio, indignata. Molti altri la pensano come me. Nonostante dopo poco tempo alcuni dei requisiti previsti dal bando siano cambiati, la sostanza è rimasta a mio parere la stessa: quella che è una vera e propria attività lavorativa, è stata passata per un'attività formativa che prevede un rimborso irrisorio a fronte della richiesta di elevate qualifiche di base. Sottolineando la frequenza obbligatoria: altro che ferie e malattie, il numero di giorni di assenza consentiti è rigidamente indicato. Ma soprattutto è molto ben specificato che la partecipazione al bando non dà il diritto all'inserimento in eventuali graduatorie di professionisti, figuriamoci all'assunzione! Personalmente, mi sento presa in giro. Tradita. Illusa. Pensavo, speravo che questa fosse la volta buona, che finalmente ci fossero le giuste premesse per rimettere in sesto la situazione del nostro patrimonio culturale e dei professionisti ad esso votati. Sì, votati. Se non ci fosse alle spalle una solida passione, quasi una vocazione, moltissimi professionisti di questo mondo sarebbero ora dedicati ad altri settori molto più remunerativi o fuggiti lontano. Ma questa passione, l'unico pilastro che sembra in grado di reggere al giorno d'oggi la cultura italiana in tutte le sue forme, viene ogni giorno di più calpestata. Parliamoci chiaro: crisi o non crisi, in molti casi il lavoro potrebbe esserci, potrebbe essere creato dove serve e svolto con efficienza e amore da seri e qualificati professionisti. Senza spendere cifre assurde per... aria fritta! Non mi serve fare esempi: ne abbiamo fin troppi sotto gli occhi quotidianamente. Musei affollati soltanto di custodi, scavi archeologici affidati a operai non qualificati o a volontari sfruttati, chiusure con conseguenti licenziamenti che si sarebbero potuti evitare, professionisti sottopagati. Come speriamo di uscire da questa situazione se neppure lo stesso Ministero ci sostiene? Non posso che condividere a pieno, e ricondividere, le parole di Salvo Barrano, Presidente dell'Associazione Nazionale Archeologi, che invita tutti alla manifestazione dell'11 gennaio a Roma. Parteciperò con tutto il cuore e, non potendo essere anche io in piazza fisicamente, per una volta scelgo di rompere la regola che mi autoimpone di non trattare certi temi online e aderisco, almeno virtualmente, facendo sentire tutto il mio appoggio alla manifestazione.
Manifesto qui ora soprattutto la mia speranza: una speranza che non si spegne con le numerose delusioni che troppo spesso incontro. La speranza che non tutto è ancora perduto. La speranza che ci sia un futuro roseo per il patrimonio culturale italiano. Un futuro che non potrà esistere senza i professionisti della cultura italiani.
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