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Un condannato a morte è fuggito (1956)

Creato il 17 marzo 2011 da Julien Davenne
Un condannato a morte è fuggito (1956)Fontaine, un componente della resistenza francese, viene catturato e condotto in una piccola cella dai nazisti. Fontaine non desidera altro che scappare, tenta in tutti i modi di progettare la sua fuga. Si serve di piccoli oggetti che ha in cella per farlo: un cucchiaio, un lapis, una coperta e i fili di ferro del letto. Alla fine riuscirà ad aprire la porta della sua cella e a oltrepassare le mura di recinzione con l'aiuto di Jost.
"Questa storia è vera. Ve la racconto così com' è, senza orpelli."
Robert Bresson è un autore fondamentale che ha teorizzato un'idea precisa del suo cinema che più tardi lo sceneggiatore Schraider ha chiamato "stile trascendentale" (per maggiori info vi consiglio qui di leggere il suo saggio): un cinema che si serve di "un'estetica della superfice" caratterizzata dall'ossessiva attenzione per i minimi particolari del quotidiano per giungere al trascendentale, a tutto quel che va oltre l'esperienza umana dei sensi, all'immanente, espresso attraverso l'opera umana che intercede per una volontà più alta. Per rappresentare il trascendentale Bresson prepara lo spettatore dividendo la sua materia filmica in tre momenti precisi: la quotidianità, la scissione e la stasi. Il film per raggiungere il suo scopo utilizza uno stile impersonale, classico e primitivo come l'arte sacra delle icone, che si rappresenta cinematograficamente attraverso delle inquadrature rigorose, una recitazione antiteatrale (i suoi attori diventano modelli che devono eseguire le battute automaticamente senza dare intonazione e significato a quello che dicono), un montaggio regolare, dove ogni scena porta soltanto alla successiva e a un'assenza prevalente di colonna sonora che è concessa di esplodere soltanto nel momento in cui il trascendentale si manifesta, quindi questa apparente assenza e povertà estetica serve a rafforzare la scissione e il momento della stasi. La forma dell'opera diviene sostanzialmente l'elemento attivo, mentre il contenuto, quello che si racconta, soltanto il mezzo. E così che la storia di Fontaine acquista verità profonda, ossessionandoci con le innumerevoli rigorose inquadrature del suo tentativo di creare strumenti per fuggire, sarà l'unico prigioniero che porterà la stessa camicia insanguinata fino alla fine, non esiterà a utilizzare gli abiti nuovi che li verranno mandati per pacco per costruire una fune, gli altri prigionieri rassegnati non crederanno alla sua forza e al suo piano. L'arrivo del giovane Jost nella stessa cella di Fontaine segnerà la definita scissione di Fontaine con l'ambiente che lo circonda (come anche agli occhi dello spettatore): senza il giovane ragazzo Fontaine comprenderà che non sarebbe stato possibile per lui oltrepassare la muraglia finale della prigione e che quindi ha fatto bene a fidarsi di lui. A questo punto l'azione della Grazia intercede direttamente con la volontà del protagonista.Il sottofondo del "Kyrie" della Grande Messa in Do minore si innalza nel pianosequenza finale, e mentre Fontaine e Jost vagano liberi verso l'orizzonte, improvvisamente, un fumo riempie il campo come se fosse una massa di nuvole maestose. E' il momento della stasi, il mistero che penetra questo capolavoro. La sensazione che si ha giungendo al finale è imparagonabile a qualsiasi emozione comunemente sentimentale. "Lo stile trascendentale è una forma che esprime qualcosa di più profondo di ciò che è visibile, cioè l'intima unità delle cose - lo spettatore non è obbligato a commuoversi, ma ad assorbire le emozioni in un ordine più ampio. (P. Schraider)
"Nei miei film mi piacerebbe far sentire allo spettatore la presenza dell'anima di un uomo, e anche al presenza di qualcosa di superiore all'uomo che possiamo chiamare Dio." 
R. Bresson
Un condannato a morte è fuggito (1956)

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