Magazine Diario personale

Un curioso parallelo…

Da Giovanecarinaedisoccupata @NonnaSo


Avete mai pensato che, in fondo, essere licenziati o perdere il lavoro è la stessa identica cosa che essere piantati in asso dal proprio uomo?

come-essere-lasciati

Quello che credevamo “perfetto” per noi, l’uomo della nostra vita, che ci dava sicurezza e ci faceva sentire speciali, che ci definiva in un certo senso, che ci dava un senso. Quello che ci ha preso gli anni migliori della nostra vita, le nostre forze, i nostri pensieri, e che un giorno ci ha piantate in asso, lasciandoci con un pugno di sabbia e senza secchiello e paletta.

Voglio dire, è una cosa davvero sconcertante, se ci si mette a pensarci seriamente.

Proprio come in una relazione, ne convengo con voi, così come non bisognerebbe lasciarsi definire dalla “coppietà”, dal proprio compagno, altrettanto non bisognerebbe lasciarsi definire dal proprio lavoro… ma quanti lo fanno veramente? Negli anni di disoccupazione e mala occupazione ho imparato sulla mia pelle cosa significa perdere “l’etichetta” di lavoratore, quella Denominazione di Origine Certificata che garantisce per la nostra “bontà” e che, una volta persa, parla solo di prodotti scaduti e “non all’altezza”.

E il senso di vergogna, di impotenza, la solitudine, la disperazione, il crogiuolo di sentimenti negativi che, assieme alla rabbia, sono l’unica spina dorsale che ci rimane.

Quando ci molla lui, quando ci molla il lavoro. Stessa identica cosa.

LASCIARSI

Anche “le scuse” e le frasi di circostanza, trite e ritrite, sentite 1000 volte, sono le stesse. Non ci credete? Vediamo:

  1. Non sei tu, sono io: la prima e più grande cazzata che esca dalle labbra del fedifrago lui, quella che personalmente odio di più. Solitamente detta in virtù del non avere le palle per dichiarare il vero: mi sono stufato, sono un co…one, ho trovato un’altra, non voglio legami. Il lui-congilio ribalta il problema su di sé, invitandovi a non crucciarvi troppo sul vostro essere diventate, fondamentalmente inadatte – motivo e causa dello scarico – ma sui suoi “problemi”. Problemi che richiedono la vostra comprensione: la moglie gli trivella le palle per gli alimenti, non possono più permettersi il costo dei dipendenti, i fornitori non forniscono i clienti non pagano, i figli sono grandi e cominciano a capire, lui esce da una brutta storia e non vuole gettarsi subito in un’altra “Seria”, vuole sfarfallare in giro un po’, qualcuno ha detto che conviene di più usare gli stagisti a rotazione che pagare i contributi ai dipendenti assunti e bla bla bla… ad libitum.

Ma ci siamo capiti, no?

  1. Ti amo, ma… ma non parliamone neanche. Non è il nostro amore in discussione ma la tua posizione qui accanto a me, alle mie dipendenze. Ti amo, ma non posso più permettermi di mantenerti. Corollario del punto 1, usata per addolcire la pillola. Del resto è il sentimento quello che conta, non l’azione abietta che copre.. no?
  2. Non lascerò mai mia moglie per te, te l’avevo detto: certo, il problema non è la mancanza di chiarezza, il problema sei tu, piccola stolta, che hai osato farti delle illusioni. Lui TE L’AVEVA DETTO fin da subito, che finito lo stage non ti avrebbe assunto. Non importa se qua e là ti ha lasciato pensare che, se ti fossi sbattuta abbastanza, se avessi affettato abbastanza fettine di culo (del TUO culo) forse forse una piccola speranza… no. Lui era stato chiaro fin da subito. Anzio: perché non gli diamo una medaglia?
  3. È stato bello finchè è durato: somma e suprema verità. Bello è stato bello si, finchè è durato. Peccato che non è durato davvero… peccato. È una di quelle frasi tipo “non ci son più mezze stagioni” o “d’altra parte è così”. Quando uno ti butta là il “d’altra parte è così”, tu cosa mai puoi rispondere se non “eh, già”?
  4. Troverai un altro migliore di me, in grado di renderti felice come io non posso fare: la beffa delle beffe è che questa fra se non te la ripete solo lui, ossessivamente, modello lava-coscienza in modalità ON, no. Te la ripetono a sfrantegamaroni anche amici, famiglia e conoscenti. Quasi certi che alla millesima volta che te lo dicono poi si avvera. E come no.
  5. Restiamo amici: un altro classico intramontabile, il “restiamo amici”. Ovvero “non lasciamoci con cattivi sentimenti”, che poi ci facciamo il sangue amaro e ci roviniamo la vita …no. Io uomo senza cuore ti rovino la vita, ma tu lasciami andare con l’illusione di non aver rovinato tutto, di non aver ammazzato metaforicamente una persona con 100 coltellate nella schiena (ma senza cattiveria, eh).

E poi, il loop di disperazione, la chiusura in noi stessi, gli amici che non capiscono o non vogliono capire, quelli che si schierano, ma non per molto,  etc etc.

solitudine

E le liti al telefono, i tribunali, gli alimenti (che si chiamano indennità di disoccupazione, mobilità, liquidazione, incentivo all’uscita… ma sono la stessa cosa no?) e le notti insonni a pensare a lui, e la certezza che non ne troveremo mai un altro come lui, uno che ci si pigli così come siamo…

E allora via con le ristrutturazioni, i miglioramenti, le maschere per non far vedere come stiamo davvero

E infine, il silenzio. Di lui che non chiama più, dei vari occasionali che non chiamano più. Il silenzio che si allarga come il buco nero creato dall’esplosione di questa supernova chiamata disoccupazione, licenziamento, abbandono, e che risucchia tutto dentro di sé, a partire dalla nostra autostima.

Si, signore mie (e signori miei, giacchè l’uragano Daisyoccupazione non lascia scampo a nessun genere né orientamento), è davvero una cosa sconcertante, non trovate?


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