Se siete fan di questo blog dal giusto tempo, ricorderete sicuramente che da queste parti siamo fan della disoccupazione. Quella buona intendo, quella che ti lascia finalmente il giusto tempo per scoprire, riscoprire o coltivare gli interessi che prima la mancanza di tempo ci aveva costretti ad abbandonare.
C’è anche chi infatti nella disoccupazione trova modo di “rifiorire”, come quei fiorellini colorati che si dice spuntino nel deserto anche nei periodi di siccità più nera (o come i cactus, che prosperano nelle condizioni più impensate). C’è chi, dopo aver toccato il fondo con mano e dopo aver affrontato le proprie più oscure paure, trova la forza di mandare tutto e tutti a quel paese, e si inventa e reinventa.
E tutto questo, a sorpresa, “grazie” alla disoccupazione, che ti leva piano piano strato dopo strato tutte le certezze, ma anche tutti quei blocchi mentali e freni che anni e anni di lavoro di un certo tipo ti avevano imposto: lo stipendio fisso, lo stipendio sicuro, il posto fisso, il posto assicurato, il “che io faccia 3 o 10 tanto sempre uguale vengo pagato”, le cattive abitudini così come quelle buone, e così via.
C’è chi come me si è riscoperto gran camminatore, amante della propria città, ed è andato alla ricerca dei luoghi più insoliti, degli scorci più inusuali, e ha trovato sul proprio cammino nuovi punti di vista (qualcuno anche inesplorato). C’è chi si è scoperto blogger, scrittore, creativo di una qualche specie. C’è chi è tornato a fare il papà o la mamma a tempo pieno e si, c’è anche chi ancora sta cercando la sua strada, non dico di no. Lungi da me dipingere un quadro tutto rose e fiori: non lo è per me come non lo è per voi, anche se continuo a cercare, e cercare di mantenere, il mio equilibrio su questo filo teso della disoccupazione su cui sono arrampicata da un po’, ormai.
Con alti e bassi, come tutti. Con amarezza e rabbia, certi giorni e, per fortuna, certi altri (molti di più in effetti) con serenità. La poca che ci si può ritagliare e tentare di conservare.
Continuo a pensare che piangersi addosso e rimanere arrabbiati, solamente arrabbiati, senza fare altro della propria vita, senza ribellarsi, senza tentare di cambiare le cose che non ci piacciono, sia solamente inutile e stupido, e tento sempre di vedere il lato positivo delle cose. Per mia fortuna riesco ancora a farlo, e questo è quanto vorrei condividere con voi. Un punto di vista (semiserio quanto basta, ma voi sapete leggere fra le righe) sulle gioie e dolori della vita da disoccupati. O mezzi occupati, o occupati male, o stranamente occupati o… semioccupati in casa.
Si perché la maggior parte di noi l’ha capito: forse un posto di lavoro “alla vecchia maniera”, non lo troveremo mai più. Qualcuno si sta anche chiedendo, come me, se sarebbe mai in grado di tornarci, in un posto di lavoro così (dettaglio pecuniario e fame a parte): dopo aver assaporato la libertà della vita da disoccupata, posso dirvi che so che farei molta, molta fatica a tornare a “incasellarmi” in certe realtà. Posso dirvi per certo che non ci starei così relativamente “bene” come invece sto qui nella disoccupazione. Posso dirvi che la disoccupazione mi ha cambiata talmente tanto che, davvero, non so se sarei in grado di tornare indietro, a certe logiche, a certi cucchiaini di merd.. da mandare giù ogni santo giorno.
Ecco perché tutto sommato questo periodo che mi è servito per “reinventarmi” e imboccare la strada (affollata e difficile, e a senso unico visto che più nessuno si sogna di offrire posti di lavoro “alla vecchia maniera” a noi “gentaglia) del “lavoro da casa” non lo sto vivendo male, anzi, tutt’altro. Ecco perché, se riuscissi a sistemare un paio di dettagli che ancora stridono (chiamatemi avida, ma il tema “denaro” è ormai un’ossessione purtroppo) sarei l’occupata-a-casa più felice di questo mondo: imprenditrice (di successo) della mia vita, ecco quello che sogno di essere.
Certo, capisco che molti lavori che “facevamo prima” non si possano svolgere da casa come quello che invece tento di svolgere io, e di questo me ne dispiaccio, ma io parlo di quello che conosco e provo io per prima perciò… ecco sintetizzati per voi i motivi per cui questa scelta-non-scelta di lavorare da casa mi rende abbastanza contenta, tutto sommato:
- Libertà di orari: dite la verità, chi si sente più felice di noi, affrancati dalla schiavitù della sveglia mattutina? Ci svegliamo il lunedì mattina con il sorriso sulle labbra e quando vogliamo (o quando vuole il nostro gatto, nel mio caso..), ci stiracchiamo pensando a quei poveri sfigati dei nostri amici che già da due ore si stanno lamentando su Facebook della sveglia, del doversi alzare e uscire di casa, delle code, delle metropolitane affollate, del capo testa di c.. e noi se vogliamo sappiamo che possiamo restare a letto. Oppure alzarci, accendere il pc, e metterci a lavorare direttamente in pigiama, il bombolone caldo in una mano e il caffè bollente nell’altra, sbadigliando con malagrazia allo schermo tanto chissene.
- Libertà di muoversi con i propri ritmi: chi lavora da casa non ha orario, in tutti i sensi. Può cominciare quando vuole la mattina e può trovarsi a finire ben dopo gli orari di ufficio la sera, se ha progetti che lo richiedono. Ma nel mezzo, può fare esattamente come vuole: mangia quando vuole (e ottimizza i costi risparmiando sulla spesa giornaliera), fumare, farsi 25mila caffè e 80mila tazze di thè, sorseggiarle mentre lavora senza che nessuno gli dica che “se la piglia comoda”, può ascoltare la musica a tutto volume e persino improvvisare un balletto con il proprio gatto come partner, se ne sente la voglia. Può conceders mezz’ora di yoga per schiarirsi le idee o quattro passi intorno all’isolato per ossigenare il cervello, può uscire con le amiche e godersi i negozi quando tutti gli altri lavorano e tornare e mettersi a lavorare impiegandoci un terzo e producendo tre volte tanto rispetto a lla gente normale che sta in ufficio e che tira tardi 8 ore nell’annoiata attesa di timbrare il cartellino e tornare a casa.
Se non è vita vera questa, ditemi che cosa lo è.
Aggiungeteci che possiamo gestirci la nostra agenda con relativa libertà, il nostro guardaroba senza l’impaccio del “vestito buono” e delle “scarpe scomode”, i nostri impegni senza l’urgenza dettata dalle incongruenze altrui… Certo, anche nel lavoro da casa si deve sottostare alle richieste ed alle deadline dei propri clienti, spesso confusi e disorganizzati, spesso ancora più pretenziosi verso l’impiego del vostro tempo rispetto ad un “normale” datore di lavoro (chissà come, il committente pensa che la sua parola sia legge, e che chiedervelo oggi per ieri vi provochi una frenesia creativa e un sacro terrore per quello che potrebbe farvi se solo osate non consegnare il lavoro SUBITO…) ma insomma, tutti noi sappiamo che, sapendocisi organizzare, aanche questi piccoli scogli(oni) quotidiani possono essere superati agilmente. Lasciandoci anche il tempo, magari domani, di uscire a fare quattro passi salutari.
- Libertà di dirci “oggi non lavoro, oggi non mi vesto, resto a casa.. o magari esco”. E questa non ve la devo spiegare più di tanto, no? La città che ci circonda è bella e piena di idee: usciamo a coglierle, ci fa bene al cervello e agli occhi!
- Libertà di essere creativi: questa è una cosa che ho scoperto trovando mici dentro. Sono sempre stata un tipo creativo, ma fino a che ho lavorato in azienda c’era una “visione” delle cose, una “direzione” e un’impronta data alle stesse, ed ai lavori che dovevo fare, che veniva decisa da qualcun altro, e poi imposta. Non c’era possibilità di contraddittorio, le idee innovative erano giudicate sovversive, pericolose, inutili. Salvo quelle che venivano copiate e utilizzate spudoratamente senza nemmeno un ringraziamento.
Chi lavora da casa, invece, il “freelance” imprenditore di sé stesso, ha per definizione dei “clienti”. Clienti che si rivolgono a lui/lei per avere proprio quelle idee creative innovative e quei punti di vista che chi sta in azienda non ha e non può avere. Il freelance è libero di “lanciarsi” in sperimentazioni e elucubrazioni che lo porteranno in quei territori sconosciuti che ha sempre desiderato –e non ha mai potuto – esplorare.
E ditemi voi se non è felicità pura questa: lasciare il proprio immaginario creativo a briglia sciolta, e galoppare con lui.
Personalmente, mi svolta le giornate, ecco.
- Libertà dalle logiche e dagli “incasellamenti” aziendali, fisici e psicologici: niente più cubicolo all’interno di un ufficio caotico e pieno di individui-pecore che si parlano gli uni sugli altri, niente più scrivanie-alveari che non si possono personalizzare (pena essere costantemente ripresi perché sembriamo disorganizzati e confusionari), niente più corse inutili su e giù per i corridoi e pause caffè all’insegna del viperismo estremo con colleghi di lavoro falsamente compiacenti e pronti a pugnalarti sulle spalle. Il freelance, il consulente, quello che lavora da casa, si muove parallelamente a tutta la marmaglia di “assunti” aziendali, e in questo sta un enorme privilegio: non fare parte di quella massa, e sfuggire alle logiche del branco. Egli è libero.
Di farsi disprezzare dagli stolti e di disprezzarli a sua volta.
Libero di ignorare i loro discorsi sciocchi, libero di non arrabbiarsi per gli innumerevoli episodi di fancazzismo, per le invidie gelosie e ripicche fra colleghi, libero di muoversi ai margini di quel mondo che finalmente non si prenderà più la briga di “prendersela con lui”. Anche se è più bravo, più veloce, più creativo, nessuno potrà prendersela sul serio con lui: tanto è uno stagista, un consulente, una risorsa “temporanea” da sopportare per un periodo limitato di tempo. Da sfruttare e poi mollare in mezzo ad una strada: questo lo sa anche lui, quindi non sottostarà più a certi giochetti “vita natural durante”.
E questo, scusatemi, ma dei 5 è il punto che più mi rende orgogliosa e felice di essermi riciclata come freelance o (dipende dai punti di vista) come disoccupata “a macchia di leopardo”, a targhe alterne, o “quando capita”..si perché come ben sapete, anche quando mi ritrovo con qualche collaborazione fra le mani non riesco, proprio non ci riesco più a sentirmi “occupata”. Non in maniera tradizionale. Non in maniera “definitiva”.
E forse è proprio questa “etichetta” che non se ne viene via, l’unico contrappeso infelice alla mia “felice” vita da disoccupata che lavora da casa.
Questo, e il dettaglio pecuniario che tanto mi (e ci) assilla: nella certezza di un domani quanto mai incerto e fumoso, il non avere garanzie, ferie e malattie pagate, uno stipendio fisso e ben retribuito e i contributi è l’unica cosa che invidio agli “occupati tradizionali”.
Ma da qui a dirvi che farei volentierissimo cambio con loro… io non so davvero cosa dirvi, non so.
Dopotutto, resto sempre più convinta che quelle loro “certezze” (lo stipendio, il posto in azienda, il contratto a tempo (in)determinato, i privilegi da assunti) non siano poi più così “certe e grantite”, nemmeno per loro.