Scrive Carlo Perrin sul bollettino dell’Alpe: “La cultura alpina può essere un modello e naturalmente offre un sistema collaudato di cui si sente l’esigenza basti pensare a teorie quali la decrescita felice…”. Perché mai la cultura alpina dovrebbe essere un modello? A chi? E qual’è il sistema collaudato? E poi si sente l’esigenza di cosa? Pongo queste domande a un politico che si dice allergico alla demagogia e al populismo, perché se l’affermazione non è demagogica e populista è senz’altro facile retorica. Infatti non si capisce il motivo per il quale noi dovremmo fornire il buon esempio, perché abitiamo in montagna? Siamo un popolo moralmente superiore per questo? No, e la realtà lo dimostra: noi siamo un pessimo esempio! (Ma quale decrescita felice!). Il modello collaudato è che abbiamo vissuto grazie allo Stato e non abbiamo saputo sfruttare quelli che si considerano dei diritti, ma che hanno più il sapore dei privilegi, per creare un vero sviluppo legato al concetto di autonomia. I nostri politici non “sono caduti nella trappola delle lusinghe”, come scrive Perrin, ma hanno scientemente programmato un benessere clientelare di tipo mafioso per conservare il potere. E l’assuefazione alla sudditanza non è affatto “inconsueta per una popolazione di montagna”, ma l’effetto naturale di una politica di facili contributi. Non esiste un DNA di alta quota, perché altrimenti ne esisterebbe uno di pianura e uno di mare, esiste l’essere umano che si lascia forgiare dalla storia e la storia degli ultimi trent’anni in Valle d’Aosta è una gran brutta storia.
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