È proverbiale la “riservatezza”, per usare un eufemismo, dell’autore del Giovane Holden, Jerome David Salinger. Poche interviste, nessuna apparizione pubblica, poi il precoce ritiro dall’attività, o almeno dalla pubblicazione di nuovi testi; l’ultimo, infatti, un racconto intitolato Hapworth 16, 1924, apparve sul «The New Yorker» nel 1965.
Sfidando questa figura schiva, lo sceneggiatore Shane Salerno ha messo in piedi, ideato, scritto e diretto, con notevoli esborsi economici in proprio, un documentario, Salinger, interamente dedicato alla vita e alle opere dello scrittore nato a New York nel 1919.
Per fortuna di Salerno, e se vogliamo anche degli appassionati dell’autore, l’opera è stata acquistata nientedimeno che da Harvey Weistein.
A detta dello stesso autore del film, l’obiettivo è stato quello di portare all’attenzione del pubblico la grande complessità del personaggio, per molti versi ancora dietro un velo, non fosse altro che per la sua lunga esistenza appartata, dopo il raggiungimento della notorietà. Dopo ben nove anni di lavorazione, del resto, è comprensibile come si sia creata, attorno a questo documentario, molta attesa e forse, in alcuni casi, qualche aspettativa di troppo.
Sappiamo bene che Salinger è autore da odi et amo, che divide, oppone, contrappone. E altrettanto farà di certo l’opera di Shane Salerno, soprattutto alla luce di alcuni inediti che, sembra, siano stati ottenuti dopo la morte dello scrittore, avvenuta nel gennaio del 2010.
Gli elementi per discutere a lungo ci sono tutti, questo è certo.
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