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Un faticoso autoinganno

Creato il 03 dicembre 2013 da Malvino

In risposta ad Alessandro D’Amato, che mi ha chiesto un commento alle dichiarazioni di Rita Bernardini sulla bocciatura dei quesiti referendari che la Suprema Corte ha ufficializzato ieri, devo premettere che la conosco di quel tanto che mi basta per poter dire che è incapace di mentire, se non a stessa, cosa che però le capita di continuo, com’è accaduto ieri.Ha cominciato col lamentare che, prima dell’ufficializzazione della bocciatura, fossero già state diffuse voci che l’anticipavano: «Pare che qualcuno – detto – abbia diritto all’informazione privilegiata addirittura prima del comitato promotore dei referendum». Ora è evidente che quel «qualcuno», in realtà, corrisponde a «tutti», perché le voci erano riportate da numerosi organi di stampa: al contrario, «informazione privilegiata» sarebbe stata proprio quella anticipata in via riservata al comitato promotore, che Rita Bernardini sembra rammaricarsi non esserci stata. C’è da supporre che la ritenesse utile per confezionare una versione più convincente del fallimento cui è andato incontro l’iniziativa radicale, d’altronde quella che dà – come vedremo – non regge sul piano politico e neppure su quello strettamente logico, ma poi perché la Suprema Corte avrebbe dovuto anticipare la notizia al comitato promotore? In quel caso vi sarebbe stato un vulnus procedurale ben più grave della diffusione della notizia alla stampa in via ufficiosa. Questa, tuttavia, è questione marginale, perché l’autoinganno di Rita Bernardini va ben oltre. Infatti, nel corso della sua dichiarazione, ha esteso a tutti i dodici quesiti referendari – compresi i sei sui quali gli stessi promotori ammettevano di non aver raggiunto il numero di firme necessarie – il caso relativo a quello sulla responsabilità civile dei magistrati, per il quale sono state raccolte 540 mila firme, dove la Suprema Corte ne ha dichiarato valide solo 422 mila: lamentando che la bocciatura non desse conto della ragione per cui 120 mila firme fossero state considerate invalide, con ciò impedendo un ricorso congruamente motivato, ha lasciato intendere che tutta l’iniziativa referendaria – compresa quella relativa a quesiti che non hanno raccolto neppure la metà delle firme necessarie, valide o invalide che fossero – risultasse perdente per questo mero ostacolo all’inappellabilità della bocciatura.Inoltre, nell’ammettere – anche se solo en passant – che per i sei referendum del pacchetto «Cambiamo noi» le firme non fossero sufficienti già al momento del loro deposito, ha lasciato intendere che per gli altri sei del pacchetto «Giustizia giusta» non fosse così, il che non è vero, perché almeno quello relativo all’abrogazione dell’ergastolo non ne ha raccolte le 500 mila necessarie. Anche per i sei quesiti del primo pacchetto, d’altronde, l’attenzione è stata stornata dalle ragioni che hanno fatto mancare l’obiettivo che in altri tempi i radicali raggiungevano senza troppe difficoltà, per appuntarla sulle manchevolezze delle amministrazioni locali dimostratesi incapaci di supplire a quelle dei tavolinari. Sia chiaro, le segreterie comunali avevano il dovere di mettersi a disposizione di chi avesse voluto firmare per i quesiti referendari. Laddove non l’abbiano fatto, un problema si pone, ed è serio, ma con ciò non diventa il problema dei problemi, che è l’incapacità dei radicali di raccogliere firme com’era tanto tempo fa. E anche a non voler sottovalutare la questione relativa all’indubbio impegno di risorse che comporta l’assicurarsi la certificazione delle firme, il problema dei problemi rimane uguale, mentre diventa illogico, perfino surreale, pretendere che il sostegno alla raccolta delle firme venga da un apparato che per definizione è inteso ostile nella forma del «regime».In altri termini, se lotti contro il «regime», non è da cretino aspettarti che il «regime» ti fornisca i mezzi per condurre la tua lotta? Che senso ha lamentarsi che la macchina delle segreterie comunali non abbia funzionato a puntino, dando per scontato che, dalla più grossa città metropolitana al più sperduto dei paesini, il sistema partitocratico ti considera un corpo estraneo? Se hai forze, lotta, sennò lasciati morire di fame e di sete, chissà che il risultato tu non l’ottenga in questo modo. Ma dichiararti «partigiano antisistema» e pretendere che il «sistema» ti dia un aiutino, consentimi, è da folle. D’altra parte, siamo seri, se il «regime» ti considerasse davvero un pericolo, ti passerebbe decine di milioni di euro ogni anno come fa da oltre trent’anni? Ma dove Rita Bernardini si è autoingannata con la più disarmata innocenza – senza la premessa iniziale dovrei dire: dove ha cercato di ingannare con la più bassa disonestà intellettuale – è stato sull’analisi politica del flop. Nulla ha detto del come e del perché si era arrivati alla presentazione del primo pacchetto, tanto meno ha spiegato le vere ragioni che hanno motivato la presentazione del secondo, perché il fallimento – e su queste pagine l’ho scritto già in agosto – era già prefigurato nei tempi e nei modi che avevano caratterizzato l’articolazione dei due segmenti come mera configurazione dei profondi conflitti interni all’area radicale. Conflitti che negli anni sono sempre più venuti a farsi evidenti, e perfino eclatanti, ma che in fondo sono quelli di sempre: di diverso c’è che un tempo emergevano di tanto in tanto, mentre oggi hanno acquistato un carattere di coessenzialità alla «cosa radicale», che mostra, non di rado nello stesso radicale, dunque con patenti sintomi di schizofrenia, due anime – quella democratica e quella settaria, quella liberale e quella cristianoide, quella scientista e quella neoidealista, ecc. – che, se un tempo riuscivano a tollerarsi, la modernità ha reso inconciliabili.Rita Bernardini lamenta che i referendum radicali non hanno trovato appoggio da parte di altri partiti politici, nemmeno nei casi in cui i quesiti ponevano questioni da essi ritenute sensibili, com’è nel caso del M5S per il finanziamento pubblico ai partiti. Tuttavia è evidente che la contraddizione sta nei termini stessi in cui solleva il problema, perché il referendum è strumento di democrazia diretta, dunque deve cercare sostegno nell’area della cittadinanza che sta fuori o prima dell’appartenenza ad un partito, tanto meno nel partito come organizzazione che fidelizza gli individui al punto da indirizzarne le scelte su una singola questione com’è quella sollevata da un quesito referendario. D’altronde non s’è sempre detto che i referendum sul divorzio e sull’aborto si vinsero grazie al sostegno dei cattolici e dei comunisti, sebbene la Dc fosse schierata contro, e nonostante il Pci fosse assai tiepido? E allora perché chiedere aiuto a Grillo, a Vendola, a Epifani e a Nencini per il pacchetto «Cambiamo noi»? Perché denunciare la loro mancata adesione come un tradimento? Ancora: perché aspettarsi che per il pacchetto «Giustizia giusta» fosse necessario l’aiuto di Berlusconi – e s’è visto con quale errore di calcolo – se i quesiti potevano trovare (fatta eccezione per l’abrogazione dell’ergastolo) una rispondenza nel popolo del centrodestra?In altri termini: che cazzo di democrazia diretta è quella in cui credono i radicali, e che almeno nelle intenzioni dovrebbe scardinare il sistema partitocratico, se poi pretende di trovare legittimità solo grazie agli ordini che i partiti dovrebbero dare ai propri iscritti, sennò Pannella se ne muore di satyagraha e poi devono portarselo sulla coscienza? Grillo, Vendola, Epifani e Nencini: veri pezzi di merda, perché non si sono impegnati affatto, anzi, «hanno remato contro». Berlusconi, no, però pezzi di merda quanti tra i suoi non hanno portato l’acqua con le orecchie all’abbeveratoio radicale, e gli altri, quelli che invece l’hanno fatto, colpevoli di avere orecchie storte, ché nel portare l’acqua l’hanno versata lungo il tragitto, chi dimenticando il timbro tondo, chi affidandosi allo spedizioniere sbagliato, tutti un po’ coglioni per l’essersi mossi troppo tardi o per aver illuso i radicali – come ha fatto Brunetta, che prometteva 5 milioni di voti – su un certo risultato. E non vogliamo neanche ipotizzare che i radicali fossero illusi di per se stessi?Tutto questo non era prevedibile? Io che non ho il polso della società italiana, come millantano i radicali, e che non alcuna pretesa di incarnare il comune sentire della «gente», che tra le millanterie radicali è la più esilarante, l’avevo previsto, e senza aver bisogno di vedere la macchina allopera. Da osservatore esterno della «cosa radicale» (che non vede lora muoia Pannella per rientrarvi dentro) sapevo che a minare in partenza liniziativa era il modo in cui era nata. Lho già spiegato qualche mese fa e qui evito di dilungarmi: il primo pacchetto era nato nel tentativo di una parte dell’area radicale di esaurire il pur ridotto potenziale di iniziativa politica nellappoggio alle zigzaganti solitarie di Pannella – a ben vedere, un tentativo di trovare «a sinistra»unuscita dallautoemarginazione – mentre il secondo era nato per neutralizzare questo tentativo, aprendo «a destra». Neutralizzazione riuscita, sicché anche stavolta Pannella riesce ad ottenere che nella più umiliante sconfitta dei suoi possa trovarsi piena soddisfazione della sua paranoica lettura della società italiana. E il suo narcisistico vittimismo può farsene glossa. A quanti si ostinano a stargli dietro, perché essergli devoti è diventata unabitudine senza alternative o perché non saprebbero dove trovare unaltra ciotola, e da tempo è ormai impossibile fare differenza: a loro non resta che lautoinganno, peraltro sempre più faticoso.   

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