“Eravamo giunti all’imbrunire, immersi nei nostri scambi, nei suoi pensieri.”[clicca qui per leggere la prima puntata]
Sembrava uscisse dalla foschia che avvolgeva Castel dell’Ovo. Quello strano personaggio si dirigeva verso di me e mi guardava. Per un istante pensai che fosse uno di quei figuranti, abbigliati con abiti d’epoca, nell’atto di una rappresentazione teatrale.
Un giustacuore: indumento maschile in uso nel Sei-Settecento, costituito da una giubba piuttosto attillata lunga fino al ginocchio, spesso ricamata
Ma quando giunse a pochi passi da me, il signore sgombrò la cortina di bruma…si
tolse il giustacuore e me lo donò. Non poteva essere quindi un attore. Non era possibile che il sindaco De Magistris, oltre a liberare il lungomare dai motori, avesse destinato delle risorse al fine di omaggiare i passanti con insoliti presenti. E quel giustacuore insolito lo era per davvero. E poi pensavo, ma a cosa mi servirà un giustacuore senza una parrucca, di quelle belle chiare e cotonate?
Mentre si affastellavano questi pensieri nella mia mente, il gentile signore svanì nella foschia da cui era arrivato ed io rimasi lì quasi immobile… e tra le mani questo antico vestimento. Era bello, stoffa pregiata. Ricami, fregi e cuciture dorate su un tessuto di colore blu, tra l’altro il mio colore preferito. Ma non potevo indugiare ancora, e poi ero anche molto ansioso di raccontare l’accaduto agli amici che mi attendevano per la lettura del secondo messaggio.
Fin qui sembra quasi un racconto fantastico, forse lo è. Perché, è vietato? È vietato
ricorrere alla fantasia? È vietato dilettarsi nella scrittura cercando di dissipare – almeno sulla carta – quelle nubi, reali, che ti tolgono il respiro? L’indomani, infatti, la provincia di Napoli sarebbe stata avvolta da una nube nerastra, un fumo fitto e pesante che penetrava attraverso i pori della pelle.
Tre i punti dei fuochi: Casoria (praticamente Napoli), Pomigliano d’Arco e Cicciano. Tre i punti in cui era più forte il lezzo, incerti i punti d’origine. Sono sempre incerti i punti d’origine e così, prima di capire e risalire alla fonte,
continuiamo a respirare, fino a quando… non respireremo più.
Ma ritorniamo al giorno precedente. M’incamminai quindi verso il luogo dell’incontro, lasciando alle spalle lo splendido castello ma non il giustacuore che avevo, invece, ben saldo tra le mani. A guardarlo bene, si presentava un po’ invecchiato e liso. Come mai fosse in quello stato, non mi era dato sapere con certezza ma, dopo un rapido ragionamento, non ebbi titubanze. Scartate quelle meno plausibili, si fece strada l’unica alternativa meritevole di considerazione, imponendosi sulle altre con tutto il fascino leggendario e romantico di cui si componeva. Non avevo alcun dubbio, il mio giustacuore era un trofeo che, stando all’epoca, non poteva che essere della Rivoluzione francese…
Mentre viaggiavo con la fantasia, un gonfio schizzo d’acqua mi riportò nella realtà
Mentre viaggiavo con la fantasia, un gonfio schizzo d’acqua mi riportò nella realtà
e lo fece nel punto esatto in cui via Partenope dischiude al viandante l’incantevole
Mergellina, e da cui – se la foschia lo permette – si possono ammirare le perle
incastonate nel golfo.
Tirando innanzi nel cammino, intravidi il gruppetto in trepidante attesa. Elisa e
Gianmario mi fecero un cenno di saluto ma d’un tratto Fausto si staccò dagli altri e
mi venne incontro. Nei circa trecento metri che ci separavano – centocinquanta se avessimo avuto la stessa andatura, ma lui procedeva quasi correndo – cercai di dare una spiegazione a quell’anticipo. Non ebbi, però, neanche il tempo materiale di pensare che me lo trovai a un passo. Tutto agitato e con evidente sopraffiato, mentre mi fissava con gli occhi sgranati sentenziò: «È inutile».
«Perché è inutile» risposi interdetto, intanto che in me si faceva insistente una
domanda: perché quel ragazzone dai capelli rossi, di appena diciannove anni, era così allarmato? Fausto era prossimo agli esami di maturità, di lì a poco avrebbe concluso i suoi studi al liceo scientifico e, probabilmente, si sarebbe poi iscritto all’università.
Federico II (1194-1259), re di Sicilia e imperatore del Sacro Romano Impero
Era proprio questo il punto, anzi il nodo che si affrettò a spiegarmi. In quel periodo stava prendendo visione dei programmi di studio presso la federiciana università degli studi di Napoli e si era bloccato su un punto. «Federico II istituì l’università a Napoli, un segno tangibile di miglioramento…» Fece una breve pausa, riprese fiato e continuò: «Non è avvenuto, anzi la gente è andata nel senso opposto, ma non nel senso opposto e basta, no, quel senso l’ha percorso tutto, fino all’inimmaginabile, fino a dar vita (quest’espressione è la meno felice, è meglio dire “fino a far sorgere”, così anche se il significato è lo stesso, si evita almeno di associare la parola “vita” a chi la vita la toglie) alla camorra e a tutte le altre mafie, e non solo.»
S’interruppe ancora. Intanto i nostri, radunati sul marciapiede a circa duecento metri da noi, ci guardavano sbigottiti, cercando di intuire quale motivo avesse spinto Fausto a correre verso di me. Certo, erano lì per un altro motivo – la lettura del secondo messaggio contenuto nella bottiglia – ma quell’imprevisto contrattempo non sembrava disturbarli affatto, anzi, nonostante la distanza li vedevo in pena per Fausto, tra l’altro il più giovane del gruppo. Non a caso ho usato, per tutti, la parola amici. Quell’insolito evento del giovedì precedente ci aveva accomunati fino a far sorgere un affiatamento che, immediatamente, considerammo amicizia. Compresero che Fausto aveva bisogno di parlare e, soprattutto, di essere ascoltato e così… ci lasciarono fare.
Fausto riprese a parlare, con voce stentorea: «Ma cosa dobbiamo descrivere, e non
solo qui. Federico II ha segnato una svolta, per l’Italia intera, e guarda a che punto
siamo. È impossibile cambiare, invertire la rotta per andare nel senso indicato da Federico». Fausto era un fiume in piena di cui avvertivo la pena. Mi chiedevo come avrei potuto placargliela, soprattutto dopo aver ascoltato le parole che seguirono. «Come hai appena sentito, ho usato deliberatamente alcune espressioni contenute in quel messaggio. E poi, quelle due alternative, “parlare o tacere per sempre”, ci ho pensato, tu ci hai pensato?
Questo messaggio non è solo datato, è antico e anacronistico… non c’è più niente
da dire e da fare, ormai è già fatta e qui a Napoli, più che altrove, è pertinente
quella frase che suona pressappoco in questo modo: “È così che è sempre stato e continuerà ad essere”. È inutile, qui le cose non cambieranno mai e, infine, ti confesso un’altra cosa, è inutile pure che mi iscriva all’università. Perché dovrei studiare, sapendo che tra quattro/cinque anni (salvo imprevisti) la situazione sarà ancora peggio?».
I temi trattati da Fausto erano molto delicati. Tentai di dargli una risposta quanto più esaustiva possibile. «Se le persone come te, vale a dire le persone oneste, si rassegnano… sarà veramente finita. Daranno campo libero al potere che, a quel punto, ingrosserà le sue fila e schiaccerà definitivamente il popolo, deprivato anche del pensiero. Federico II fu il primo sovrano a pensare di rendere lo studio accessibile a tutti, per divulgarlo fra quelli che non erano religiosi, in quanto effettivamente sino allora il clero e i monasteri avevano avuto il monopolio della cultura letteraria. Le persone della tua risma hanno il dovere di lottare, anche in nome di chi ha combattuto fino alla morte contro il potere. Ti basti un solo nome per tutti, Giordano Bruno, tacciato d’eresia e bruciato sul rogo.
Scusami se ti sono parso breve, ma t’invito sin d’ora a casa mia, qualora volessi
parlare ancora. Vorrei, però, da te una promessa. A prescindere dagli studi
accademici, ti esorto a non abbandonare i libri… i libri sono di tutti, ma non tutti lo sanno.»
Dopo poco, quindi, li raggiungemmo. Gli chiedemmo scusa per il ritardo ma, come
avevo percepito da lontano, tutti loro avevano compreso benissimo la situazione, anzi – leggendoci nel pensiero – proposero di rimandare la lettura del secondo messaggio al giovedì successivo… convenimmo tutti che era la cosa migliore da fare.
Mentre ci salutavamo, Carlo, un ex portiere di palazzo, mi trattenne dicendo: «Ma sei di scena stasera?». Ne seguì una scoppiettante risata generale. Mi ero quasi dimenticato di quel giustacuore, nonostante lo tenessi tra le mani. «Vi spiego tutto giovedì prossimo» e ridendo me ne andai.