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Un grande Paese?

Creato il 05 giugno 2011 da Stukhtra

Pregio e difetto: la speranza eccessiva

di Marco Cagnotti

Un grande Paese?
Ci sono parole che una persona per bene, laica e razionale, cosmopolita, democratica e moderna non pronuncia mai. Se non per stigmatizzarle, magari. “Cooptazione”, per esempio. Oppure “elitismo”, to’. O magari “patria”. Prova a dire “patria”, dai. Prova a dire una cosa tipo “la mia patria”. Che cosa ti viene in mente? A me Ignazio La Russa a una parata militare. Cristo, che schifo! Mi sento un vecchio coglione. No, non esiste proprio. Certe cose non si dicono. Certi concetti non si esprimono. Non si pensano neppure. Siamo gente seria, noi. Gente per bene.

Poi però leggi questo libro e vai in crisi. Ché Sofri è come te, moderno, laico e razionale, e come te ha reticenze e vergogne. Però non si ferma e, lucidamente, mostra come quei concetti siano attuali. Magari… anzi sicuramente serviranno parole nuove per definirli senza sentirsi vecchi coglioni, eppure bisogna recuperarne l’idea. Perfino il concetto di “patria”, nell’accezione proposta da Sofri, non fa più tanto schifo. E così “cooptazione” ed “elitismo” (da non confondere con elitarismo). E anche “ideologia” e “proselitismo”. Sofri ci ragiona su e argomenta parecchio e, bisogna dirlo, fa pensare. A tratti è illuminante.

Preso atto che l’Italia com’è oggi fa schifo (tesi sulla quale nessuno che sia dotato di onestà intellettuale potrebbe eccepire), Sofri si chiede se e come potrebbe fare un po’ meno schifo non domani o dopodomani, ma fra 20 anni. Lo fa insistendo su tre tesi: bisogna recuperare l’identità italiana (e qui un brivido percorre la schiena…) e perfino l’orgoglio di essere italiani (e qua un crampo attanaglia lo stomaco…), smetterla di pensare che gli esseri umani siano uguali per principio (un altro brivido…) e piantarla di inseguire la perfetta somiglianza fra i governanti e i governati, e infine rendersi conto che la responsabilità dell’andazzo (nel bene e nel male) è di ciascun singolo cittadino. Conseguenza di tutto ciò è che bisogna “comportarsi bene”.

Vien da dire: “Grazie, già ce lo sapevo”. Risposta: sentirselo ricordare male non fa. Vero. Però il dubbio permane: Luca, che me lo dici a fare? Non è a me che devi dirlo, in fondo. Io ti capisco. Ti seguo. Mi convinci. Certo, hai le tue idiosincrasie: ti stanno sui coglioni Travaglio e Di Pietro, e la lettera d’addio di Gabriele Cagliari fra le ragioni dell’orgoglio italiano te la potevi pure risparmiare. Però la tua tesi di fondo la condivido. Io. Insieme a tutti gli Italiani che già sanno che bisogna “comportarsi bene”. Ma… gli altri? Non voglio evitare la responsabilità della mia azione individuale: io faccio del mio meglio. Eppure non posso ignorare il Paese tutt’attorno. Che non leggerà questo libro. E, anche se lo leggesse, non lo capirebbe. E, anche se lo capisse, non lo approverebbe. Perché è più comodo far carriera a forza di raccomandazioni, vendere il voto in cambio di un posto a vita nella Pubblica Amministrazione, frequentare il sottobosco della politica per farsi eleggere in un Consiglio Provinciale, frodare il fisco lavorando in nero. Costoro ci sono oggi e ci saranno fra 20 anni, prosperi e felici. E sono e saranno sempre tanti, troppi.

Pregio e difetto di questo libro è la speranza eccessiva. Pregio perché… beh, l’ottimismo della volontà, no? E difetto perché… il pessimismo della ragione, ovvio.

Luca Sofri, Un grande Paese, Rizzoli

Piace: Lo stile piano e scorrevole, la tesi di fondo assolutamente condivisibile, gli spunti che inducono alla riflessione, la speranza eccessiva.

Non piace: Alcune fissazioni e idiosincrasie di Sofri, la speranza eccessiva.

Voto: 8/10


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