Questa è la
sua storia raccontata attraverso le ultimissime tecnologie della scienza, della ricerca e dell’animazione per riscoprire i segreti di questi incredibili predatori che hanno dominato il Nord America
10.000 anni fa. Nell’era glaciale popolata da uno straordinario numero di mammiferi imponenti, giganti che mangiavano avidamente altri giganti, esisteva anche un
divoratore di carne incallito che si procurava le prede a colpi di artigli con la furia e la ferocia necessaria a sottomettere le sue vittime. Eppure di lui oggi rimangono solo le sue ossa, reperti importanti che il tempo ha conservato e che permettono la sua classificazione come il
più grande canide che sia mai esistito. I resti ossei forniscono anche una mappa straordinaria per capire le loro abitudini e la loro morte. In vita, l’animale doveva essere piuttosto impressionante, il nome scientifico della specie, infatti, vuol dire
“cane terrificante“.
I
resti fossili ci indicano che erano molto simili morfologicamente ai lupi, rispetto ai quali tuttavia erano considerevolmente più grandi. La lunghezza media di un esemplare, infatti, è stimata attorno al metro e mezzo, per un peso che poteva sfiorare gli 80 kg. Si spostava in branco ed era bravo a sopravvivere, dominando la scena per centinaia di anni, la sua struttura ossea ci spiega il perché della sua scomparsa. Aveva un struttura
più robusta con zampe più corte e tozze rispetto a quelle degli attuali lupi grigi che lo rendevano
meno agile e veloce, il suo modo di attaccare era legato alle fauci e al suo peso corporeo, i denti assai grossi ed appuntiti, caratteristica che lo rendevano
adatto al morso di bisonti e cavalli, la forza delle loro mandibole e la durezza dei denti, servivano a stringere vigorosamente la preda che cacciava attivamente. In ogni caso, i denti di questi animali mancavano di alcuni adattamenti tipici dei mangiatori abituali di ossa, come le iene, e nei crani ritrovati la presenza di denti rotti o scheggiati è assai maggiore rispetto a quella riscontrabile nei crani di lupi vissuti nelle stesse zone durante lo stesso periodo. I denti in particolare quelli superiori, erano allungati ed assai affilati, a sottolineare una spiccata capacità di ridurre la carne a brandelli.
Un
esperto di arte venatoria capace di sfruttare la sua natura sociale per applicare sofisticate
tecniche di caccia in branco, dalla perlustrazione, all’intercettazione, dalla velocità alla tenacia, dall’affiancamento allo sfiancamento per uccidere e procurarsi il cibo. Un preciso lavoro di gruppo finito a colpi di canini, morsi che penetravano nella carne fino alla morte. Un
branco unito da leggi gerarchiche ben precise e che prevedeva anche l’assistenza in caso di ferite o traumi violenti.
Un superlupo in grado di attaccare i giganti della preistoria e che ha spopolato per anni ma che non si è rivelato un cacciatore capace di evolversi rispondendo ai cambiamenti climatici, di alimentazione, di habitat e alll’uomo, un nuovo grande e pericoloso predatore che accelerò la sua fine, decimando le riserve di caccia naturali e che introdusse virus capaci di sviluppare malattie devastanti.
Al contrario
il lupo grigio più versatile si è rivelato un predatore ancora oggi molto diffuso, essere piccoli e agili si è dimostrato un vantaggio, una lezione che molte specie animali dovrebbero ricordare bene!