Lo sviluppo della vita democratica in Italia si manifesta, oramai esclusivamente, sotto la forma convulsa e inorganica di manifestazioni tipo quella degli Indignados di sabato scorso a Roma. Gli Indignati, come precisavo nel mio ultimo contributo su questo spazio, rappresentano l’ ultima, reale frontiera sociale di questo paese. L’ ultimo baluardo economico, sociale, produttivo di un Italia sempre più feudale e meno stato di diritto, di legalità. A pensarci bene la manifestazione di S. Giovanni, partita in modo pacifico e poi degenerata in guerriglia e violenza, presenta tutti i crismi di una realtà politica, sociale ed economica oramai feudalizzata o quasi. Un esempio può contribuire a rendere più intellegibile questo concetto: da un lato, la piazza che chiedeva e chiede al mondo delle istituzioni, lavoro, pane, dignità, efficienza contro la crisi economica, benessere e, in qualche modo, solidarietà; dall’ altro, il potere arroccato ( e mai come in questo caso) nel palazzo; sotto assedio per le sue negligenze e inadempienze ( verso la società in senso lato e l’ elettorato di riferimento in particolare); tradotto tutto questo in termini feudali “il palazzo del Signore” – e mai immagine è così calzante - estraneo ai bisogni di uno strato sociale fatto di indignati ( servi non più della glebe ma dei finanziamenti a strozzo delle banche, dei salari deprezzati, delle pensioni minime). L’ Italia attuale è apparsa nella sua interezza negli scontri di sabato; povera gente ( compresi,con memoria pasoliniana, anche gli agenti di polizia non altro, in fondo, che degli indignati leggermente più privilegiati), problemi lasciati irrisolti sullo sfondo di una realtà satura di vergogne: fiumi di denaro e di privilegi offerti a testate giornalistiche e a partiti inesistenti ( o quasi); scorte a individui inquisiti dei reati più infamanti ( associazione a delinquere, collusione con la criminalità organizzata, corruzione, sfruttamente della prostituzione); baronie e arbitri negli spazi vitali del tessuto sociale: università, ospedali,cantieri di lavoro. Il lavoro, e non solo le sperequazioni sociali, rendono l’ Italia un paese feudale; il lavoro trasformato ( da riscatto individuale) a concessione del Signore di turno e solo ( sottolineo solo) negli ambiti competenti al Signore stesso ( il mondo delle vallette berlusconiane è un esempio fulgido sotto questo punto di vista); il lavoro manuale imbarbarito dall’ eliminizione di operai e, quindi, di forza lavoro; il lavoro intellettuale involutosi nella sottospecie del giornalista/servo sciocco: un cronista; uno che racconta meramente fatti e non cosa ha generato i fatti; non chi o cosa è responsabile del fatto stesso. Il sonnacchioso torpore culturale del paese è riscontrabile anche da queste cose; dal non essere riusciti a far altro che inasprire ( anche giustamente forse) le regole per chi incendia e devasta ma di non essersi soffermati sul perchè si è arrivati a una Roma incendiata da nuovi barbari. Un paese feudale, dunque, in cui qualsiasi elemento vitale dalla cultura, all’ economia, al governo, alla società risultano divisi,parcellizzati, ingabbiati in un mare di esenzioni, concessioni, favori per i quali il mondo moderno ha coniato termini ad hoc ( burocrazia, assistenzialismo, nepotismo, clientelismo). Un paese feudale inserito all’ interno dello scacchiere di un’ Europa piena di enigmi, domande; un’ Europa divisa da nazionalismi prima che culturali, politici ed economici. Si sta aprendo ( o meglio si è già aperta) una fase storica che consegna all’ Europa un’ Italia svilita, sciatta e, ahinoi, decadente. Un medioevo dal quale si esce azzerando privilegi e baronie, riqualificando e depurando la morale pubblica e le istituzioni dall’ immoralità da postribolo, investendo in ricerca ( siamo alle solite me ne rendo ben conto); creando le basi per un universo intellettuale realmente libero, democratico, nel quale la conoscenza circoli senza i pass della prostituzione e del servilismo ( non solo intellettuali). Ricerca ma anche innovazione e, dunque, mobilità, dinamismo, efficienza e non classi feudale ( politici locali, burocrati, banchieri) che ostacolano crescita e benessere. Insomma, è un paese da ricostruire ma ad una condizione: recuperare, su tutto, la solidarietà civica allentatasi ( ma non ancora spezzatasi) che unisce gli Italiani tutti ( studenti, operai, politici – quelli seri e al servizio del paese – , extracomunitari ecc.). Questa è l’ effettiva risorsa per poter invertire il feudalesimo tutto italiano del terzo millennio.
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