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Un po’ di ragionevolezza

Creato il 20 giugno 2010 da Gadilu

Un po’ di ragionevolezza

Intervenire con ragionevolezza nel dibattito sulla toponomastica di montagna è molto difficile. La difficoltà maggiore consiste nel cercare un possibile punto di mediazione tra parti che tendono quasi per inerzia a scivolare verso gli estremi di visioni inconciliabili. Questo genera stanchezza e frustrazione. Verrebbe la voglia di mandare tutto e tutti al diavolo, d’ignorare la questione e di dedicarsi a cose diverse, meno inquinate da animosità e risentimento. Se non lo facciamo, se nonostante tutto continuiamo a scriverne è per non darla vinta proprio a chi non aspetta altro che il fallimento di ogni mediazione possibile, per riprendere con maggiore vigore la propria missione incendiaria.

Cerchiamo dunque di riannodare l’esile filo della ragionevolezza chiarendo e definendo quali sono le posizioni estremistiche che dovrebbero essere decostruite. Da un lato abbiamo avuto l’azione dell’Alpenverein Südtirol, ovvero l’applicazione di un gran numero di cartelli segnaletici senza riguardo all’obbligo formale del bilinguismo (espressamente richiesto in ambito pubblico dallo statuto d’autonomia). Dall’altro la reazione infastidita di alcuni politici italiani (da ultimo il ministro delle Regioni Raffaele Fitto), compattati dal richiamo all’osservanza della lettera dello statuto e generalmente propensi a una sua applicazione senza eccezioni di sorta (secondo il motto: bisogna tradurre tutto). Il rischio di un muro contro muro, data questa situazione, è concreto. Per sventarlo occorrerebbe fissare alcuni paletti e respingere con decisione ogni intervento votato allo scontro.

Innnanzitutto, è vero che per garantire il principio del bilinguismo occorre tradurre sempre e comunque tutto? Non è possibile, per esempio, far valere qui un limite relativo alla differenza tra “bilinguismo” e “binomismo”, come ha proposto anche l’assessore del Pd Bizzo? In questo modo, io credo, si smorzerebbe uno dei fuochi polemici più strumentali alla recrudescenza della contrapposizione senza di fatto ledere la sensibilità di nessuno. Partendo da qui dovrebbero poi essere individuati con rigore i soggetti e la metodologia responsabili di produrre concrete proposte di mediazione. Il coinvolgimento delle associazioni alpine (Cai e Avs) costituisce senz’altro una possibilità. Sono infatti loro che gestiscono le risorse e operano sul territorio. Esautorarle o scavalcarle potrebbe rivelarsi non solo improduttivo, ma anche controproducente. Certo, alla fine avremo probabilmente solo un compromesso – anche faticoso, come tutti i compromessi – ma se non è possibile fare di meglio non possiamo continuare a sperare che una soluzione palesemente unilaterale alla fine si dimostri anche quella buona.

Corriere dell’Alto Adige, 20 giugno 2010



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