Può darsi che io corregga perché così facendo mi avvicino pian piano al cuore dell’argomento del racconto. Sento di dover continuamente tentare di scoprirlo. È un processo, non una posizione stabile.
È una frase di Raymond Carver.
Ogni storia ha un cuore e lo scopo di chi scrive è di avvicinarsi senza fretta a quel cuore. Ci riesce? Certo, ma non è automatico. Infatti Carver afferma di dover tentare di scoprirlo.
Ancora una volta abbiamo una conferma.
Chi scrive non ha le idee chiare su quello che fa. Lo scopre mentre procede nella narrazione. Non sa come chiudere la storia, lo scopre mentre si avvicina al cuore.
Niente è definito, fisso. Per questo mi sembra bislacco il modo di procedere di alcuni autori. Ne conosco almeno uno, importante, islandese, che dettava la storia alla sua collaboratrice, una segretaria per essere esatti. Poi ci pensava l’editor, il figlio, a sistemare le cose. Eppure, adoro il suo modo di scrivere, che tra l’altro è lontano anni luce da quello che io vado ripetendo a me stesso.
Questo per dimostrare, ancora una volta, che non ci sono regole e/o leggi da seguire, pena la catastrofe o chissà che cosa. Bensì direttive generali, e all’interno di queste chi scrive segue le proprie leggi.
Non credo che esista per esempio un pittore, o uno scultore, che si limita a “buttare giù” lo schizzo. Se questi sa che cosa fa, e conosce il peso della responsabilità che si è preso, è anche conscio che è nella fase successiva che si gioca tanto, se non addirittura tutto.
Una cosa è evidente, se si scrive con in testa certi obiettivi; quindi la letteratura, non solo l’intrattenimento. Una storia non è solo due o più personaggi. C’è un cuore da scoprire e regalare a chi legge.
Un senso, un mistero. Perché parla dell’essere umano.