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Un racconto piccante:Code di rospo in salsa d’acciughe

Da Dino Licci

Un racconto piccante:Code di rospo in salsa d’acciughe   Immagine tratta da internet
Uscì come ogni sera, come ogni notte, vagando alla ricerca di se stesso. Un pensiero fisso lo tormentava da giorni e condizionava notevolmente il suo comportamento usuale. Entrò quasi inconsapevolmente in un ristorante orientale che prometteva cibi afrodisiaci di sicuro effetto. Il pranzo fu quanto di più strano potesse immaginare. Un antipasto di ostriche e caviale lo predisposero a fidarsi dello chef che gli propose di continuare con code di rospo in salsa d'acciughe. Il sapore del pesce era esaltato dal tuorlo d'uovo, prezzemolo, scalogno e limone e, al termine del pasto, gli fu servito un bicchiere d'assenzio con vodka alla fragola, cosparso da una polverina grigiastra che si rivelò essere tratta dal corno di un rinoceronte. Uscì, fece un lungo tratto di strada in auto fino a raggiungere una zona periferica della città. La follia, nella sua testa inquieta, si agitava danzando tumultuosamente in un ritmo estenuante e dirompente come in un crescendo di stampo rossiniano.Camminava lentamente mentre la follia si agitava nel suo contenitore razionale, nelle rigide regole del conformismo abituale, costretta in quella severa maschera sociale che imponeva controllo, padronanza di sé, disciplina, ma intanto cercava disperatamente un pertugio, una fessura, una crepa da cui erompere rumorosamente per dare sfogo ai suoi istinti atavici che pulsavano nella mente dell'uomo come torrenti impetuosi di ancestrale energia. Dov'era il suo contenitore, dove la sua prigione? Nei suoi reconditi pensieri o in quel suo cuore che ritmava fiumi di sangue ardente e rutilante di vita? O forse avvolgeva quel corpo vagante come una nuvola eterea, invisibile, eppure talmente poderosa da risultare invalicabile?Ludovico e la sua notte inebriante: sublime e nebbiosa, umida e silenziosa con quegli aloni di luce soffusa che avvolgevano invisibili lampioni. Sotto uno di quei lampioni, sinuosa e splendida come un rettile multicolore, come una falena sfavillante, straordinariamente bella e impudica, si agitava, dondolando la borsetta sgargiante di mille bagliori, la dea dell'amore, il demone del sesso, del desiderio, della passione. La follia contenuta dell'uomo, esaltata da quella cena particolare, cercò disperatamente di rompere gli argini, di accostarsi a quell'immagine notturna che aveva popolato i suoi sogni terribilmente erotici: una folla incredibile di appaganti amplessi succedutosi in quei momenti d'immaginazione e di vivido sogno, avevano gonfiato i suoi appetiti mai sazi, mai appaganti nella triste realtà. Si avvicinò timido e impacciato, temendo di essere riconosciuto, lui, preside di un famoso liceo, lui, l'archetipo vivente della moralità, integerrimo detentore dell'etica comportamentale! Il sorriso della dea lo fece dapprima vibrare, poi tremare come un fuscello, impallidire, fuggire lontano. Le gambe non lo reggevano più. L'emozione scatenata da quel timido, malriuscito tentativo d'approccio, lo aveva inchiodato al suolo impedendogli di parlare, di camminare, persino di pensare compiutamente, mentre una lotta immane si svolgeva al suo interno, tra la rigida legge morale che governava solitamente il suo comportamento e l'istinto primordiale che lo straziava inondandolo di una cascata ormonale sempre più impetuosa e travolgente. S'immaginò tra le braccia di quella bellezza provocante, mentre si accasciava sul sedile dell'auto totalmente privo di forze ma non di bramosia. Il profumo della donna gli era penetrato nelle nari e quella figura sinuosa sembrava strisciargli addosso avviluppandolo in una spirale soffocante di desideri repressi.La follia volteggiava sempre più inquieta: ora che aveva trovato una complice, si era fatta più audace, addirittura temeraria e alfine esplose percorrendo quel corpo distrutto da scariche alterne di adrenalina, dopamina, serotonina e trascinato, suo malgrado, in un coacervo di sentimenti, emozioni, ripensamenti, pentimenti, impaziente frenesia. Si avvicinò cauto e protetto questa volta dal buio abitacolo della sua auto. Fece scivolare in basso un finestrino e riuscì a dire, con un filo di voce: "Sali". Il profumo del sesso inondò la vettura, una mano sapiente prese a carezzarlo per prepararlo all'incontro e dopo un attimo si ritrasse conscia dell'accaduto: "non preoccuparti, non sei il solo sai? — disse la donna — Come la chiamate voi sapienti? Eiaculatio praecox?" E sparì lontano contando il suo denaro. Ludovico si allontanò di qualche metro, abbassò il volto nelle sue mani congiunte e silenziosamente, copiosamente pianse…

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