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Quando si parla di singhiozzo nelle barzellette si pensa agli ubriachi. Ma chi prese la prima, mitica sbronza? Secondo la Bibbia il patriarca Noè, sfuggito al Diluvio Universale, scese dall’Arca e cominciò a coltivare la vite. Fu il primo e poiché non conosceva gli effetti del vino ne bevve troppo e si addormentò ubriaco fradicio e mezzo nudo.
Secondo i Greci il vino giunse nella loro terra dall’oriente. Fu Dioniso, il dio straniero, a portarlo. Infatti era raffigurato con una tazza in mano ed era accompagnato da un corteo di satiri ubriachi. Nell’Odissea invece l’astuto Ulisse, consapevole degli effetti che poteva avere, per sfuggire al gigante cannibale Polifemo gli offrì tantissimo vino. E quando quello si addormentò, completamente sbronzo, lo accecò bruciandogli l’unico occhio.
Quando colonizzarono l’Italia meridionale i Greci introdussero la coltivazione della vite che attecchì così bene che quelle terre presero il nome di Enotria vale a dire “terra dove si coltiva la vite e si produce il vino”.
Alcuni studiosi ritengono però che la vite fosse già coltivata in Italia prima dell’arrivo dei Greci. Gli Etruschi la coltivavano infatti con un sistema diverso. Facevano crescere i tralci appoggiandoli agli alberi invece di sorreggerli con bastoni. Il sistema della “vite maritata”, come viene chiamato, fu introdotto dagli Etruschi anche nella Pianura Padana, dove avevano fondato dodici città (ma a parte Bologna, Mantova e Marzabotto l’ubicazione delle altre rimane misteriosa).
Poiché il clima era diverso dalle calde colline mediterranee fu necessario selezionare dei vitigni resistenti al freddo e ai climi nebbiosi della pianura. Nacque così l’antenato del Nebbiolo.
Poiché le popolazioni celtiche che vivevano dall’altra parte del fiume Po apprezzavano molto il vino impararono a loro volta a coltivare la vite. Nel frattempo vendevano i pregiati vini greci ed etruschi ai loro cugini Galli che abitavano dall’altra parte delle Alpi.
I Celti avevano un loro modo di trattare il vino. Innanzitutto coltivavano la vite maritata secondo il metodo etrusco. Tracce di queste coltivazioni si vedono ancora nel Novarese, ad esempio a Carpignano Sesia.
Inoltre erano capaci di costruire botti grandi come case, come riferirono gli sbigottiti viaggiatori Romani. E poi bevevano il vino puro, come la birra che producevano da tempo immemorabile, prendendo sbronze epiche. I Romani invece tagliavano il vino con l’acqua e altre sostanze come miele, frutta e petali di fiori. E persino diacetato di piombo, detto zucchero di piombo, per addolcirlo. Un composto molto pericoloso per la salute. Dopo di che davano dei barbari ai Celti.
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