Un viaggio alla scoperta dei sapori, dei profumi e delle dolcezze tipicamente campane.

Da Marisa

Sospiri al limone.

Specialità antichissima della costiera Amalfitana, nel Salernitano, i sospiri sono dei piccoli dolci di forma rotondeggiante formati da due semicerchi di pan di Spagna con al centro la crema. Tradizionalmente, da oltre un secolo, i sospiri venivano riempiti con crema pasticciera, oggi, da oltre un ventennio, la crema pasticciera è stata sostituita dalla crema al limone. La preparazione del pan di Spagna prevede l’impasto di uova, zucchero e farina per preparare le formine della misura desiderata che devono essere adagiate su carta da forno, ricoperte di crema al limone e poi ricoperte di glassa di zucchero. Proprio per la ricchezza di limoni della costiera Amalfitana i sospiri sono una specialità di tutti i numerosi ristoranti della zona oltre che, naturalmente, di tutti i laboratori artigianali di pasticceria.
Taralli intrecciati.

I taralli intrecciati sono una specialità di tutte le aree interne della regione Campania e sono preparati da secoli con la stessa ricetta e la stessa tecnica, rigorosamente applicata dai panifici che li producono ancora al livello interamente artigianale. Gli ingredienti sono farina di frumento, olio extravergine di oliva, lievito, spezie o erbe aromatiche. Dopo l’impasto e la lievitazione, la pasta viene tagliata a striscioline che vengono intrecciate da loro e poi bollite, prima di essere cotte in forno. Sono dei biscotti dorati dalla consistenza croccante e dal sapore molto deciso e aromatico.
Chiacchiere.

Nel periodo di Carnevale, in tutta la regione Campania si preparano dei dolci fritti detti “chiacchiere”. Le chiacchiere, dolci allegri come il carnevale, hanno una consistenza ed una forma molto particolari: tenere e friabili, sono tagliate irregolarmente a strisce che poi vengono intrecciate in vario modo. La pasta delle strisce è composta da zucchero farina, acqua e uova e vi si aggiunge un vino liquoroso o, in alternativa, qualche spruzzo di liquore Strega. Dopo essere state intrecciate, le chiacchiere vengono fritte e, una volta asciugate attentamente su carta assorbente, vengono spolverate con abbondante zucchero a velo. Durante il periodo di carnevale in tutte le case si preparano le chiacchiere che sono associate al sanguinaccio, la crema di cioccolato nella quale le chiacchiere vengono immerse.
Copeta.

Nei territori campani di Benevento, Avellino e Salerno si produce ancora oggi un torrone di antichissima tradizione, il cui nome deriva dal latino “cupida” che vuol dire “desiderata”. La copeta “cupida” o “cupita”, che veniva desiderata per la sua bontà, viene citata da numerosi scrittori latini, tra cui Tito Livio, e viene riconosciuta come l’antenato del torrone di Benevento: è un torrone bianco molto compatto insaporito con nocciole, mandorle e, molto spesso, pistacchi. Oggi si lavora nella torroniera, dove miele e zucchero vengono riscaldati fino a 80°C e, mentre la torroniera viene fatta girare a marcia veloce, e si aggiunge l’albume d’uovo sciolto in acqua, preparato il giorno precedente. L’ultima fase avviene con la torroniera alla velocità minima e vede l’aggiunta di zucchero a velo spolverato, vaniglia, nocciole, mandorle o pistacchi, opportunamente preriscaldati, perché abbiano la stessa temperatura dell’impasto; il tutto viene prodotto in grosse lastre che vengono poi spaccate in pezzi per essere vendute.
Raffioli o raffiuoli.

Il raffiolo o raffiuolo è l’adattamento campano del raviolo salato del nord Italia, a cui si ispira, nel nome e nella forma. Questa specialità campana è, però, un dolce a base di pan di spagna che, nella versione originale, è ricoperto di marmellata di albicocche e poggia su una base di glassa di zucchero. La ricetta del raffiolo classico è antichissima e piuttosto laboriosa: si sbattono tuorli e albumi con lo zucchero per 6-7 minuti e poi si aggiungono altro zucchero, mezzo limone, un quarto di cucchiaino di ammoniaca, mezza bustina di vainiglia e l’albume montato a neve. Si mette il tutto in una tasca di tela da pasticceria e si dispongono dei cordoni di pasta di circa 14 cm l’uno ripiegati su sé stessi su delle placche da forno unte e infarinate. Cocendo per circa 10 minuti, i cordoni si allargano fino ad assumere forma ovale e devono essere tolti dal forno e lasciati raffreddare, per poi essere ricoperti di glassa sulla faccia inferiore spennellati con la marmellata di albicocche. Si velano, poi, con altra glassa e si lasciano di nuovo asciugare. La glassa deve essere preparata a parte, addirittura qualche giorno prima dell’uso, perché riposando coperta, si insaporisca. Prima dell’utilizzo, si deve far riprendere riscaldandola a bagno maria; si prepara cocendo a fuoco lento zucchero, acqua e un pizzico di bicarbonato, girando continuamente con un cucchiaio di legno. Una volta portata all’ebollizione, si fa cuocere per qualche minuto per poi toglierla dal fuoco e si versarla in una insalatiera a scodella, dove si continuerà a girare fino a che non si raffredderà e diventerà bianca e cremosa. Per spalmarla sui raffioli, deve essere usato un pennello o la lama di un coltello. È molto difficile, oggi, che i raffioli vengano preparati in casa, ma si possono trovare in tutte le pasticcerie artigianali della Campania, anche nella versione definita “a cassata”, farciti, cioè, con crema di ricotta, cioccolato, zucchero, canditi, cannella maraschino e vainiglia.
Babà.

La storia del babà affonda le sue radici nella Polonia del XVIII secolo, alla corte di re Stanislao Leszczinski, che, si narra, rovesciò accidentalmente una bottiglia di rhum su un dolce realizzato per lui dai suoi pasticcieri, dando vita al babà. Fu Stanislao stesso a deciderne il nome, scegliendolo per due motivi: primo perché lo volle dedicare ad Alì Babà, protagonista del celebre racconto tratto da Le Mille e Una Notte, libro che il sovrano amava leggere e rileggere, e, secondo, perché la parola “babà” è traducibile con “vecchia signora”, in riferimento alla mollezza della pasta del dolce, particolarmente adatta ai senza denti. Il babà arrivò presto a Parigi, dove in tanti lo conobbero e lo apprezzarono. A portarlo, successivamente, a Napoli furono i “monsù”, deformazione della parola monsieur, gli chef francesi che prestavano servizio presso le nobili famiglie napoletane. A Napoli il babà si è perfezionato, acquisendo le caratteristiche che lo distinguono: la particolare morbidezza, ottenuta mediante il procedimento di bagnarlo con acqua e zucchero, e la caratteristica forma bombata, simile a un fungo; è per questo che oggi il babà comunemente considerato una specialità di origine Campana. Il dolce è a base di farina di grano tenero, uova, burro o strutto, sale, zucchero e lievito di birra, lievita per due volte e si cuoce in forno; prima di essere servito va bagnato con una soluzione di acqua e zucchero, aromatizzata al limone e corretta al rhum; il babà classico o guarnito con panna o creme pasticciere varie si può trovare in tutti i laboratori della regione.  
Biscotti al miele.

Il Cilento, in provincia di Salerno è una zona dalla vegetazione rigogliosa e variegata e, per questo motivo, è un paradiso per le api alla ricerca di nettari; grazie a queste particolari condizioni, l’apicoltura e la produzione di pregiatissime varietà di miele è una tradizione molto antica in tutto il Cilento. Da sempre il miele locale viene utilizzato nelle ricette tipiche della zona: in particolare nei comuni di Calore Salernitano ed Alburni si preparano dei biscotti prodotti con miele locale, detti anche “pupette” o “mustacciuoli”, che vengono tradizionalmente offerti in occasioni particolari, come i matrimoni o i festeggiamenti delle comunità. I biscotti al miele hanno una consistenza piuttosto elastica, un colore tendente al bruno più o meno scuro in relazione al tipo di miele utilizzato e vengono realizzati in diverse forme: allungati, a forma di rombo o a forma di omini e animali. A volte li troviamo guarniti con piccoli confetti colorati. La tecnica di preparazione è molto semplice: il miele locale si riscalda e si schiuma con farina di grano tenero in modo tale da ottenere un impasto consistente a cui si aggiungono sale e, secondo alcune ricette, un po’ di ammoniaca. In seguito l’impasto si manipola con l’olio d’oliva per dare ai biscotti la forma desiderata; prima di essere infornati si lucidano ancora con olio d’oliva. A volte, in alcune località, troviamo ricette che prevedono l’aggiunta all’impasto di altri ingredienti come olio di oliva, nocciole tritate, uova, aromi di cannella e buccia di limone.
Spantorrone di Grotta.

Lo spantorrone è un dolce tradizionalmente preparato in provincia di Avellino, la cui ricetta viene tramandata nelle famiglie produttrici del comune di Grottaminarda, come ricorda il suo nome completo che è, per l’appunto: spantorrone di Grotta. È un tipo particolare di pantorrone, caratterizzato da una particolare friabilità, e dal fatto che, nel momento in cui si rompe, anziché spaccarsi in pezzi si sbriciola quasi, riducendosi in scaglie. La ricetta originale ci dice che la preparazione deve avvenire nella torroniera, dove, dopo aver riscaldato per molte ore miele ed albume si aggiungono le mandorle e le nocciole e vaniglia. Il prodotto viene steso negli stampi e ricoperto di fettine di Pan di Spagna imbevute di rhum e liquore strega.
Pigna.
Nelle aree interne delle province di Benevento e Caserta la tradizione culinaria ci ha tramandato l’antica ricetta di un dolce molto soffice, detto “pigna”, o “pignatella”, perchè, essendo più alto che largo, ricorda la forma di una pigna. Si prepara in casa, nel periodo pasquale con farina di grano tenero, lievito di birra fresco, uova, patate schiacciate e aromi, il tutto impastato con aggiunta di acqua. L’impasto lavorato a lungo viene lasciato lievitare per ben tre giorni prima di essere infornato e, dopo la cottura, ricoperto di glassa di zucchero. La pigna, che ricorda vagamente un panettone, oltre ad essere preparata in casa, si può acquistare nei laboratori artigianali della zona durante il periodo pasquale.
Delizia al limone.

La delizia al limone è un dolce relativamente giovane rispetto alla maggior parte di quelli facenti parte della tradizione dolciaria campana; originario delle due costiere, quella Sorrentina e quella Amalfitana, è stato, infatti, inventato negli anni ’70. Si presenta come un piccolo dolce di pan di Spagna rivestito e ripieno di panna e crema al limone. Si ottiene realizzando una pasta tipo bignè, di grandezza variabile a secondo delle zone che, una volta cotta in forno, viene riempita con una crema realizzata con latte, farina, tuorli d’uovo, limoni, zucchero, panna, e guarnita con la stessa crema al limone e con panna montata. È un dolce che va consumato freschissimo e non può essere conservato per un tempo superiore alle tre ore; per lo più viene offerto in occasioni festive, come per esempio i matrimoni, dove molto spesso sostituisce la torta.
 Struffoli.

Gli struffoli sono dolci immancabili in tutte le case campane durante il periodo natalizio e sono un piatto antichissimo. Furono portati a Napoli, verosimilmente, dai Greci al momento della fondazione di Partenope. Greca è, con ogni probabilità, l’origine del nome, da “strongulus” che vuol dire “arrotondato” e richiama alla loro forma: gli struffoli, infatti, altro non sono che delle “palline” fritte, ottenute da un impasto di uova e farina, e compattate dal miele e dalla guarnitura di canditi e confetti di zucchero. L’antichissima ricetta, tramandata di casa in casa vuole che l’impasto venga preparato con farina, uova, burro, latte, limone grattugiato, sale, vaniglia o vanillina e si lavori a lungo per poi essere tagliato in pezzetti piccoli che vengono modellati a forma di palline di circa un centimetro di diametro che vanno fritte in olio e poi miscelate al miele. Il composto va poi lavorato con le mani, adagiato su un vassoio e guarnito con pezzetti di frutta candita e confetti colorati.
Torrone di castagna.

Il torrone di Castagne, detto anche “pantorrone” o “spantorrone” di castagne, è una specialità che da oltre 30 anni si produce in tutta la zona della provincia di Avellino, area rinomata per la coltivazione di castagne. Questo particolare tipo di torrone è una produzione dei comuni di Bagnoli Irpino, Cassano Irpino e Montella ed è ottenuto con il tradizionale impasto di miele, albume e zucchero a velo arricchito da una gustosa farcitura a base di castagne, candite oppure in pasta, molto spesso insaporite dall’aggiunta di cacao e rhum. Viene prodotto da ditte locali che osservano regole rigidissime e lo commercializzato in tutta Italia.
  
Sanguinaccio.
Il sanguinaccio è una crema a base di cioccolato, latte e sangue di maiale, che fa parte delle antichissime ricette popolari carnascialesche, legate ai festeggiamenti in onore dell’uccisione del maiale, del quale “non si butta niente”, neanche il sangue. Gli ingredienti necessari per prepararlo sono, infatti, il sangue di maiale, zucchero, tuorli d’uovo, farina, latte, cioccolato fondente e cacao, che vengono amalgamati e cotti in pentole dove bollono per circa 10 minuti. Il sanguinaccio si serve freddo, guarnito con canditi di frutta e praline di cioccolato, e, di solito, si accompagna con le chiacchiere o con biscotti morbidi tipo “savoiardi”. Oggi, per motivi di carattere igienico, il sanguinaccio viene preparato e venduto esclusivamente in una variante che non prevede l’utilizzo del sangue di maiale.
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