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Una bicicletta piccola così

Creato il 24 ottobre 2014 da Emialzosuipedali @MiriamTerruzzi

Il ciclismo non è uno sport come gli altri. Lo scegli e ti sceglie. E forse, già fin dall’inizio, fin da quando i suoi ciclisti non sono altro che piantine che hanno bisogno di affondare le radici in qualcosa di vero, che sorregga i loro sogni, li mette alla prova, seleziona i suoi preferiti, quelli che della bicicletta conoscono sì il divertimento ma sanno che bisogna metterci anche la fatica e la lealtà.

Caterina Giurato allena i giovanissimi del Veloce Club Borgo A.S.D. di Borgo Valsugana. Assieme a suo marito, Stefano Casagranda, ex pro, segue i ragazzini dai sei ai dodici anni, stagione per stagione. E anche se molto spesso i genitori, iscrivendo i figli ad una società, sognano già di vederli al Giro d’Italia, Caterina insiste nel dire che il suo non è esattamente un ruolo da DS, piuttosto da educatrice. E’ un mondo quasi a parte, allegro e ingenuo, con tutte quelle biciclettine piccole così che per loro, per i bambini, sono come Ferrari luccicanti. “Sono pochi i bambini che arrivano spinti da un eroe che vedono in televisione” spiega Caterina. “Si iscrivono perché vogliono provare a salire su una bicicletta da corsa. Rappresenta il nuovo, il diverso, un giocattolo prezioso. Ed è giusto così. Guai se fossero spinti da altro.
Sì, è giusto. E’ il gioco educativo della bicicletta che insegna inconsapevolmente i valori, anche quelli più semplici che i bambini capiscono al volo. “Stefano mi racconta che quando aveva sei o sette anni” dice, “usciva in bicicletta un paio di volte alla settimana con i suoi amici poi quando erano stanchi, andavano a sedersi sulla riva del Brenta a pescare le trote. Sono bei ricordi che gli rimarranno per sempre. Quando la bici finisce di essere un gioco, finisce tutto. Se ne va anche la passione.

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La passione. Il ciclismo ti costringe a metterla alla prova continuamente, anno dopo anno, fatica dopo fatica. Nasce tutto qui, piano piano, come succede con le piantine nelle serre. Le foglie dei primi talenti, delle prime timide attitudini spuntano verso i dieci anni. Anche se tutto continua ad essere un viaggio perché la bicicletta sa esserlo anche solo facendo pochi chilometri di allenamento attorno al paese. E’ uno sport che forma il carattere e la testa. “Il grosso del lavoro” spiega Caterina, “lo dobbiamo fare anche sui vincenti. Perché nel ciclismo devi essere capace soprattutto di perdere, è quello che ti fa crescere, che ti fa andare avanti. Accettare la sconfitta in bicicletta significa essere un po’ più pronti anche di fronte a quelle della vita di tutti i giorni.

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E’ una selezione naturale: non sono i vincenti che vanno avanti, che hanno cucita addosso l’attitudine da futuro campione ma quelli che sanno affrontare le difficoltà e hanno il rispetto per l’avversario. Si impara da piccoli, si dice. Ed è vero, perché quando si è bambini si ha troppa voglia di sapere tutto e forse anche di essere. Essere qualcuno di importante, senza presunzioni. Fogli bianchi o quasi. Perché nessuno arriva senza una storia alle spalle. Di tutti i giorni o un po’ speciale. Come quella di Lorenzo che è uno dei quaranta bambini della società e che è stato colpito da una emiparesi. “Non riuscendo a usare il cambio” racconta Caterina, “abbiamo studiato una leva particolare che gli permette di usare la bici come tutti gli altri. E’ incredibile, si impegna moltissimo, non salta un allenamento o una gara, è sempre costante. E grazie a questo è migliorato molto, parola del suo fisioterapista. L’anno scorso, a Bolzano, gli hanno assegnato un premio alla combattività. In genere non sono molto favorevole ai troppi trofei ma questo è stato veramente una gioia per tutti, un motivo per far festa assieme. Lorenzo conserva quella coppa in camera sua e l’ha mostrata a tutti i suoi compagni di scuola. E’ un orgoglio conquistato con la fatica, la costanza, l’impegno. Le cose fondamentali che il ciclismo insegna.

Piccole cose che poi diventano grandi, crescono assieme a loro, come una corteccia. E’ un po’ una seconda pelle questa. Niente tattiche di gara complicate, si imparano con il tempo. Saper stare in gruppo, tenere la bici, prendere una borraccia ecco quello che conta quando si comincia appena a stare in equilibrio su due ruote con gli scarpini agganciati ai pedali. Costruire un rapporto simbiotico con la bicicletta, come se fosse una parte del corpo. E’ un gioco che prepara alla vita. E i traguardi, raggiunti o non raggiunti, fanno il resto. Imparano cosa vuol dire costruire un sogno, anche guardando quelli degli altri. “Qui a Borgo” spiega Caterina, “abbiamo la fortuna di avere Matteo Trentin, il nostro campione. Ogni tanto viene a trovarci durante gli allenamenti, sta un po’ con i bambini. In realtà quelli che seguono assiduamente il ciclismo in TV sono pochi. Tutti gli altri si sono iscritti per la pura passione verso l’andare in bicicletta, per sana competizione. Però tifosi lo si diventa. Quando cominciano ad essere più grandicelli, vedono che l’amico di sempre passa nella categoria esordiente e lo seguono durante le corse, si appassionano anche al professionismo e iniziano a guardarlo anche in televisione. Quando Matteo ha vinto al Tour abbiamo saltato l’allenamento e siamo andati a casa dei suoi genitori a fare festa e poi a mangiare un gelato. Gli ho spiegato che cosa era successo, che aveva vinto una tappa di una gara molto importante, conosciuta in tutto il mondo, gli ho chiesto cosa volessero fare da grandi. E loro mi ascoltavano a bocca aperta con il gelato gocciolante in mano.

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E’ così che si comincia a pensare al futuro, a sognare una strada nostra, prima piccola così e poi sempre più grande, proporzionata a quanto sappiamo essere coraggiosi e forse un po’ matti. Un piccolo vivaio di sogni, di desideri sparsi che si altalenano tra una vittoria e una merenda in riva al fiume.
Il solito problema sono i soldi, gli sponsor e tutte quelle difficoltà che la crisi si diverte a mangiare ancora di più. Ma ci sono i volontari, che in realtà è un termine strano e fin troppo freddo per descrivere chi lavora per passione. E solo per passione. “Come società organizziamo la Coppetta d’Oro, la Coppa di Sera, la Coppa Rosa e la Coppa d’Oro” dice. “C’è sempre bisogno di tante energie, tanto tempo. Per fortuna abbiamo i genitori che fanno davvero di tutto: distribuiscono i numeri, tengono le bandierine. Piccole cose che servono per far si che tutto fili liscio e che ci sia solo divertimento.”

Non sappiamo cosa saranno domani. Ingegneri, astronauti, cantanti, bancari, magazzinieri, artisti. O ciclisti. Certo è che, a volte, nella vita serve sentirsi le radici ancora piantate in un luogo che ha costruito la nostra corteccia. Non serve un luogo fisico, basta mentale. Basta ricordarsi di un campione che ti ha sorriso dopo l’allenamento, un amico che ti ha fatto compagnia dopo una piccola delusione, una gita tutti assieme al Giro d’Italia. Basta poco per salvarsi da una giornata storta e ricordarsi che si può diventare uomini anche giocando su due ruote.

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