Non ha ancora catturato l’attenzione e le prime pagine dei giornali, ma giorno dopo giorno la vicenda postuma riguardante Yasser Arafat si fa sempre più intricata e pericolosa e rischia di gettare scompiglio in una regione già di per sé problematica.
La salma del primo presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese è stata riesumata nei giorni scorsi a Ramallah per volere della moglie Suha. Verranno effettuate nuovi esami sul corpo dopo che l’Istituto di radiologia dell’Università di Losanna aveva trovato una quantità molto alta di polonio in una macchia di sangue del leader palestinese. I dubbi sorgono anche sul perché di tanta attesa: la moglie ha aspettato otto anni prima di far analizzare il tessuto che aveva conservato.
La tesi dell’avvelenamento balza subito alla mente. Arafat si era sentito male proprio nel suo quartier generale a Ramallah il 25 ottobre 2004. Era stato trasferito all’ospedale militare di Clamart, vicino a Parigi, per ricevere cure migliori. Il 3 novembre entra però in coma e l’11 muore a causa di una massiccia emorragia, medici francesi dixerunt.
Inizialmente la moglie si rifiutò di divulgare le cause della morte e persino di far eseguire l’autopsia. Secondo l’équipe che ha tentato di salvarlo, Arafat aveva un serio problema di coagulazione del sangue, ma non ne è mai stato spiegato il motivo.
Le congetture sono partite immediatamente. Il medico personale Ahraf al-Kurdi e il braccio destro Bassam Abu Sharif hanno subito parlato di avvelenamento. L’ex ministro degli Esteri palestinese ha però negato. Nel 2005 dei medici israeliani hanno avanzato l’ipotesi di Aids, ma l’ANP ha smentito.
Arafat aveva molti nemici, sia interni che internazionali, ed era sempre in allerta. È il leader politico-militare che ha firmato l’uccisione del maggior numero di ebrei dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Il naturale sospettato è Israele, in primis l’allora premier Ariel Sharon. Ma Yossi Melman, reporter ben informato sulle operazioni segrete, sostiene che Sharon fosse contrario all’uccisione di Arafat in quanto questa avrebbe potenziato politicamente la causa dei palestinesi.
I tre maggiori indiziati della moglie Suha sono Israele, la Francia e gli Stati Uniti. Ma Arafat aveva altri antagonisti. La Siria, ad esempio, gli contestaba di aver legittimato l’esistenza di Israele con gli accordi di pace di Camp David del 1993, e non si tratta dell’unico paese arabo su questa linea. Senza dimenticare il fronte interno palestinese.
Ora verranno eseguiti ulteriori esami sulla salma: se l’avvelenamento sarà confermato partirà un’inchiesta internazionale. Ma la situazione potrebbe precipitare prima in una zona dagli equilibri fragili.
Fonte: La Stampa