Adesso che è online pure l’incipit del prossimo racconto, posso scriverlo: non ne sono molto convinto.
Qualcuno potrebbe replicare: lascia perdere allora. Ammesso che tu abbia un briciolo di seguito, perché rischiare di perderlo?
Lo faccio proprio per quello: no, non per perderlo.
Ho iniziato l’esperimento dei racconti all’inizio di gennaio, imponendomi di scriverne uno ogni settimana. Ci metto nome, cognome e faccia, come vedi; ma il prossimo racconto breve non mi pare interessante.
Lo pubblicherò per questo. Potrei accampare la scusa che non riesco a fare in tempo a scriverlo; o che non mi piace, appunto. Ma non sono qui per avere un contratto con una casa editrice. Detto tra noi: credere qualcosa del genere, che sia così facile raggiungere un simile risultato, è ridicolo.
Lo faccio, come ho già scritto e ribadito, per creare una conversazione. Per dimostrare a me stesso, che è possibile usare il Web non per idiozie, o vendere il proprio capolavoro.
Bensì per condividere, confrontarsi, dialogare. Qui, è tutto sotto la mia responsabilità. E basta.
C’è anche un altro motivo, in realtà, che mi spinge a pubblicare il racconto nonostante tutto.
Lo scopo è capire cosa c’è che non funziona. Dove si nasconde l’errore, il fiato mortale che impedisce alla storia di arrivare da qualche parte.
Si potrebbe obiettare che i lettori sono i meno indicati per giudicare, che sarebbe meglio rivolgersi a qualcuno del ramo. Ma dal momento che non c’è, perché evitare il confronto?
E poi, chi dice che i lettori siano degli incapaci? Charles Dickens pubblicò “Il circolo Pickwick” a dispense mensili su un quotidiano, e i primi critici più severi furono appunto tutti coloro che acquistarono le copie del giornale. E molta era l’attenzione dello scrittore nei confronti delle reazioni del pubblico.
Insomma: il blog non può servire a ospitare sviolinate, ma a proporre un terreno di confronto. Ecco perché domani mattina pubblicherò “La fiera”.