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Una lucina in fondo al tunnel

Da Gabriele Damiani
Le prospettive economiche rimangono fosche. Il prodotto interno lordo continua a deprimersi e di conseguenza la disoccupazione non cala. La riduzione d’imposta di ottanta euro sui redditi dei lavoratori dipendenti e l’irap tagliata del dieci per cento alle imprese non ha sortito gli effetti desiderati dall’ex sindaco Renzi, attuale presidente del consiglio dei ministri. Consumi e investimenti non hanno affatto invertito la rotta discendente.D’altronde, dalle misure adottate dal governo non potevamo aspettarci nulla di diverso. Per provocare un’intensa e rapida inversione del ciclo economico tramite l’abbassamento delle imposte, la pressione fiscale dovrebbe scendere in misura davvero significativa. Almeno del dieci per cento, a voler esser precisi. Ma una tale scelta di politica economica ci è preclusa dal patto di bilancio (fiscal compact, come dicono i poliglotti, benché l’anglofono Regno Unito si sia ben guardato dall’aderirvi), in base al quale bisogna puntare, vivi o morti, al pareggio di bilancio e a ridurre il debito pubblico.Poiché, in mancanza di meglio, abbiamo l’euro, e poiché oggi come oggi nessun governante dei paesi aderenti alla moneta unica ritiene ragionevole riacquistare la sovranità monetaria, in quanto gli interessi sui titoli di stato sono scesi a livelli infimi e se tornassimo alle monete nazionali i governi perderebbero questo paradossale vantaggio, non ci rimane che sperare. Si tratta, fra altro, di una speranza dal valore ben determinato, pari a trecento miliardi di euro.La cifra non l’ha sparata un pinco pallino qualsiasi. E’ uscita dalla mente di Jean-Claude Juncker, presidente della nuova commissione europea, vale a dire l’esecutivo dell’Unione europea. Tale somma, prelevata dal Meccanismo europeo di stabilità, fondo salva stati istituito nel 2011 e operativo dal 2012 in sostituzione del precedente Fondo europeo di stabilità finanziaria, dovrebbe sovvenzionare gli investimenti pubblici nei paesi in crisi dell’eurozona e avviare così un processo di crescita economica.La proposta, ammettiamolo senza remore, non ha nulla di scandaloso. Sarebbe anzi quanto di più sensato si possa immaginare per contrastare la dura crisi che ci attanaglia. Magari non sarà una panacea, dato che l’importo andrebbe diluito tra più paesi e forse non sarà sufficiente a invertire il ciclo a ritmo sostenuto. Ma rappresenterebbe comunque un mutamento di rilievo alle distruttive politiche economiche finora adottate nell’eurozona.Si pone però un problema. La Germania darà il suo assenso? Dal 2010 a oggi i tedeschi hanno fatto il possibile e l’impossibile per danneggiare le economie degli altri stati aderenti all’unione monetaria. Una strategia, la loro, che ha incrementato gli attivi della propria bilancia commerciale e ha visto scendere come non mai i propri tassi di disoccupazione. Se ‘‘mors tua vita mea’’ è stata la loro filosofia di successo, poiché ogni danno che infliggi ai tuoi concorrenti rappresenta per te un vantaggio, qualche dubbio che siano di punto in bianco disposti a cambiarla appare più che lecito.Sapremo la risposta tra alcune settimane, quando la nuova commissione si sarà insediata. Nel frattempo non ci rimane che sperare. E’ pur sempre una speranza grande trecento miliardi.Una lucina in fondo al tunnel

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