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Una notte al pronto soccorso (normale amministrazione)

Creato il 04 agosto 2013 da Aletonti

pronto soccorso ospedale

I clienti abituali invecchiano, si ammalano e muoiono, come qualsiasi essere umano. Le vacanze fanno parte della vita e non immunizzano agli incidenti, alle disgrazie e alle malattie (anzi, in certi casi sono fertile terreno per tutto ciò). Alla fine dei conti è tutto una questione di probabilità. Se vecchine ultranovantenni trascorrono quasi un mese in albergo, le possibilità di assistere ad eventi “critici” non sono poche (e anno dopo anno aumentano sempre più).
Ormai quelli che riservano una stanza per più di una settimana si contano sulle dita delle mani, figuriamoci quelli che allungano il soggiorno fino a 3 settimane o 1 mese…esemplari rari e inevitabilmente in via di estinzione. Ci si dovrebbe rifiutare? Neanche per idea: si tira una lunga riga sul calendario delle prenotazioni e si incrociano le dita.
In qualche caso, l’operazione è sospetta: figli e nipoti arrivano, scaricano il nonno o la nonna (o entrambi) insieme al bagaglio e ripartono in fretta, come se in qualche valigia fosse nascosto un ordigno esplosivo ad orologeria. E all’albergatore non resta che rassegnarsi a svolgere il ruolo di maggiordomo fedele.

Una sera stavo servendo da bere in terrazza ad un tavolo a cui erano seduti due nostri vecchi clienti, un signore e una signora, vedovi entrambi e compagni di vacanza da tempo immemorabile, e una coppia del posto amica loro che spesso li viene a trovare in albergo. Ricordo ancora bene l’ordine: un caffè, un bicchiere d’acqua frizzante, una birra e un pò di citrosodina in 2 dita d’acqua per l’anziana signora che faticava a digerire la cena. Appena il tempo di tornare fuori e servire il tutto, che sopraggiunge l’evento critico: la vecchietta smette di colpo di parlare, si immobilizza sulla sedia con la bocca aperta e le palpebre socchiuse e non risponde più agli stimoli. Dopo un attimo di disorientamento generale, il panico. L’amico scatta in piedi, accorrono altri clienti seduti ai tavoli vicini. Qualcuno scuote la signora per un braccio, qualcun’ altro la chiama a voce alta, altri le battono le mani davanti agli occhi.
“Chiamate subito il 118!”
“Un bicchiere d’acqua!” (ma se pare morta!)
“fatela stendere!”
“no, lasciatela seduta!”
“fatela respirare!”
I tentativi di risvegliare la signora da quella specie di trance vanno avanti diversi minuti. Mio padre nel frattempo aveva chiamato il pronto intervento. La signora aveva lo sguardo fisso e non proferiva verbo. Non c’era sbatter di palpebre né guizzar di nervi. Ogni tentativo di risvegliarla sembrava inutile.
L’amico, disperato, stava gettando la spugna: ” è andata…è andata!” e pareva deciso ad andare a casa per prendere pala e piccone. Gli ho fatto notare che respirava ancora, anche se a fatica (non era nemmeno rigida e fredda ma non mi sembrava bello farlo notare). Allora l’amico se l’è presa con i soccorsi che ritardavano. Ha estratto il cellulare e richiamato il 118 appiccando una polemica furiosa con l’operatore del centralino e proseguendola con quelli dell’ambulanza al loro arrivo.
“Siamo nei tempi!” si sono difesi davanti all’evidente stato di alterazione dell’uomo (ma sul concetto di “tempi” si potrebbe organizzare una tavola rotonda notturna). Tanto più che erano arrivati in senso vietato, dal lungomare affollato e riservato ai pedoni e proprio nella sera del mercatino, con decine di bancarelle lungo le vie.
Nel frattempo l’anziana signora si era riavuta e guardava tutta quella gente intorno a lei con stupore. Alla vista degli operatori sanitari ha iniziato a sventolare il bastone in un secco segnale di diniego: “sto bene! Adesso vado a letto” e ha fatto per alzarsi ma diverse mani l’hanno rimessa a sedere. Non aveva alcun ricordo di quanto accaduto e, se anche fosse accaduto quel che tutti le stavano riferendo, non c’era da preoccuparsi perché le era già successo prima…In effetti, solo pochi giorni innanzi, era stata rintanata in camera per riaversi da uno stato di malessere causato dalla pressione alta. Aveva consumato in camera anche i pasti ed era stata visitata dalla guardia medica (un dottorino straniero, arabo o africano, che le aveva fatto un’iniezione e prescritto un diuretico).
Il vero problema era che la signora si vergognava. Era imbarazzatissima per la situazione che si era creata ma, visto che ogni resistenza era inutile, si è rassegnata a distendersi sulla barella e partire per l’ospedale.
Sono corso in camera sua a recuperare tutte le sue medicine insieme all’amico abbiamo seguito l’ambulanza in ospedale. Erano le 22,30 e avevo davanti a me una lunga nottata.

La prima cosa che ha detto appena ci ha visto arrivare, distesa su una barella nella sala di attesa del PS, è stata: “non avrete mica chiamato a casa mia?”
“No, no, stai tranquilla” l’ha rassicurata l’amico che si era fatto il tragitto dall’hotel all’ospedale al telefono con uno dei figli. Si erano già accordati affinché il giorno successivo qualcuno la venisse a prendere per riportarla a casa, a meno che non fosse stato necessario ricoverarla d’urgenza.
Anche se si trattava di una serata di un giorno feriale, era pur sempre luglio inoltrato ed entravano persone ogni 5 minuti, in barella o sulle proprie gambe: bambini caduti o infortunati a causa di qualche gioco pericoloso, vittime di incidenti stradali, anziani vittime del caldo o di qualche scivolone, ragazzini che avevano bevuto fino a svenire.  Ad un certo punto è entrato un nordafricano esanime sulla barella, scortato da 4 carabinieri. Giaceva rannicchiato su se stesso e non era difficile capire che aveva preso la sua bella dose di tozzoni. E’ uscito dopo mezzora in carrozzina, con una gamba distesa e ingessata ed è stato portato in caserma o direttamente in carcere. Assistenza immediata e nessuna attesa: chi l’ha detto che il crimine non paga?

Io sono uscito da lì alle 4, con le vecchietta e un fascicolo di documenti sotto il braccio. Un’ora prima avevo accompagnato l’amico a casa. C’era solo da attendere l’esito delle analisi e non mi sembrava il caso che fossimo in due a far mattina.
“L’importante è che non avete detto niente a casa mia” mi ha detto la signora quando l’ho accompagnata fin nella sua camera, in albergo. Le ho detto che doveva solo pensare a riposarsi.
Il giorno dopo è tornata a casa con il figlio e pareva tranquilla, rassegnata. In fondo le sue vacanze se le era fatta anche quest’anno, 3 settimane al mare da sola (sic!) con gli amici di sempre (quelli rimasti). A 93 anni non ci si può  di certo lamentare…


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