ROMA – Una pillola per curare la timidezza. Un’altra per superare un lutto. Una per non subire gli effetti della menopausa. E’ il disease mongering, letteralmente la “commercializzazione delle malattie”. Ne parlano Michele Bocci e Fabio Tonacci su Repubblica.
Il fenomeno ha buon gioco in Italia, dove in media ogni cittadino compra 28 confezioni di farmaci ogni anno, con un aumento, dal 2005 ad oggi, del 20% nell’acquisto da parte degli italiani e del 33% nella spesa farmaceutica da parte delle Asl, su cui pesano anche i farmaci degli ospedali. Un giro d’affari da 27 miliardi di euro all’anno, che porta l’Italia al sesto posto al mondo per consumo di medicinali.
Ad ogni “problema”, visto che non solo di vere e proprie malattie si tratta, è stata dedicata una giornata di sensibilizzazione. Ma Tonacci e Bocci fanno un esempio emblematico. La “settimana nazionale della stipsi” organizzata in Italia dal 2005 al 2007 è stata interrotta quando il colosso farmaceutico americano Pfizer si è visto limitare l’uso del suo Tegaserod a casi molto gravi. In altre parole, a vere e proprie patologie. Così la campagna si è fermata, almeno in Europa e in Italia, dove la legge vieta la pubblicità ai farmaci di classe A, per i quali è necessaria la prescrizione medica.
Così, sottolineano Tonacci e Bocci, alcune case farmaceutiche evitano di promuovere direttamente il farmaco e puntano sul disturbo. Come nello spot di sensibilizzazione sull’eiaculazione precoce dei due fiammiferi. Nello spot si parla solo di “condizione medica” a livello generico, ma se poi si va sul sito che ha organizzato la campagna www. benesseredicoppia. it si legge che è stato realizzato “con il supporto di Menarini”, azienda farmaceutica fiorentina, oltre che con l’avallo delle società scientifiche di andrologi e urologi e dei ginecologi.
Un altro esempio portato da Repubblica per far notare come la vendita di certi farmaci sia “aiutata” dalla revisione di certi dati. Scrivono Bocci e Tonacci:
“Negli anni Sessanta la soglia dell’ipertensione era fissata sopra 160-90, negli anni Novanta 140-90, oggi sopra i 120-80. Il valore di trigliceridi nel sangue considerato eccessivo nel 2003 è passato da 200 milligrammi per decilitro a 150. E il colesterolo? Da 240 è sceso a 200. Ogni spostamento crea la domanda. Il trucco sta proprio nel confondere volutamente queste due condizioni, la malattia e il fattore di rischio. Come per l’osteoporosi. «Pochi sanno che in realtà non è una malattia — spiega Giovanni Peronato, reumatologo dell’associazione “No grazie pago io”, impegnata da anni nello smascherare i conflitti di interesse tra medici e industria — è un fattore di rischio, che può portare alla patologia, che in questo caso è la frattura. Lo stesso rapporto esiste tra colesterolo e l’infarto». Non è una roba solo per tecnici, perché uno degli effetti di questa confusione è che le soglie vengono abbassate o alzate senza troppi problemi o verifiche. Con il paradosso, infatti, che oggi curiamo la pre-ipertensione, il pre-diabete, la preosteoporosi”.