Una nota giornalista “pro-choice” inglese, Deborah Orr, ho preso posizione su recenti fatti di sopruso di militanti dell’aborto sui difensori della vita.
Nonostante i cosiddetti “pro-choice” siano sempre più una minoranza, come riportano alcuni sondaggi (cfr. Ultimissima 3/3/11 o Ultimissima 26/3/11), i tentativi per impedire la difesa della vita nascente sono molto numerosi e spesso violenti. E’ accaduto qualche giorno fa anche in Italia durante il Salone del Libro di Torino, ne abbiamo parlato in Ultimissima 20/5/11.
Su The Guardian però la Orr ha riconosciuto che «è perfettamente legittimo essere anti-abortisti. E’ una posizione del tutto rispettabile. Sono appassionatamente pro-choice, e credo che la scelta debba essere difesa in questo dibattito. Se la gente sceglie di credere che l’aborto sia sbagliato, è quindi abbastanza giusto. Se vogliono provare a convincere gli altri che il loro punto di vista è corretto, hanno tutto il diritto di farlo».
La giornalista dice che comunque «la vita non vincerà mai, perché è contro la scelta. La logica è dalla parte dei pro-choice. Una lunga storia di disperazione, squallore e la tragedia dimostra come sia pericoloso negare l’accesso delle donne a semplici procedure mediche che ci offrono il controllo delle nostre vite, i nostri corpi e la pianificazione delle nostre famiglie». Argomento molto discutibile, tuttavia subito dopo riconosce che «non è comunque possibile chiamare se stessi “pro choice” e poi impedire a coloro che non sono d’accordo di esprimere il loro parere opposto. E’ un ossimoro. Poi si chiedono perché vengono chiamate “naziste”». La Orr ammette di aver «avuto due aborti» e di non essere «orgogliosa di questo. Sono stata sciocca e irresponsabile entrambe le volte, e così sono stati gli uomini coinvolti». Ricorda anche che dopo l’operazione provò «un sollievo immenso, meraviglioso, come l’essere liberati dalla prigione». Non si capisce se la prigioniera della gravidanza fosse lei, oppure se più legittimamente lei era solo l’aguzzina della vita che portava in grembo.