Magazine Società

Una seconda ed ultima paginetta..di Storia Risorgimentale ed..oltre..

Creato il 07 marzo 2011 da Gianpaolotorres

Una seconda ed ultima paginetta..di Storia Risorgimentale ed..oltre..

Gerolamo Induno+L’imbarco dei Mille a Quarto+1860+

Cari Lettori,

chiudiamo oggi con questa seconda parte l’articolo che vi abbiamo riportato il 6 marzo u.s.

+++

Noi Italiani – 17 marzo: conosciamo il dolore di aver perduto l’Italia ed il costo di averla ritrovata

autore Bruno Di Porto  +13 febbraio 2011+ 2a ed ultima puntata.

+All’altro capo della politica nel corso del Risorgimento si affermava, anche in campo ebraico, il filone moderato, che guardò al Gioberti, ai D’Azeglio, e poi soprattutto al Cavour, nel decisivo passaggio del 1848, contrassegnato, nello spaccato ebraico, da una riuscita campagna, in operazione congiunta con il fior fiore del liberalismo e del cattolicesimo liberale, per l’ emancipazione nostra e dei valdesi. In prima fila erano il rabbino maggiore di Torino Lelio Cantoni ed il giornalista Giacomo Dina, di lungo corso, poi, con “L’Opinione”, fino al trasferimento in Firenze ed in Roma. Cavour aveva in Dina un campione di stampa e promosse lo schivo impiegato Isacco Artom a essenziale segretario, che scriveva dispacci e relazioni all’unisono con la mente dello statista. Morto Cavour, Artom seguitò la carriera in diplomazia, specialmente con Visconti Venosta, fino al passaggio, onorevole e giubilante, in senato, quando cessò il governo della sua destra storica. Il moderatismo ebraico continuò, nella nuova fase, con posizioni di spiccata sensibilità sociale, con un grande impegno per il credito popolare e la cooperazione: il più noto al riguardo è Luigi Luzzatti, che giunse alla presidenza del Consiglio. Il suo governo, intermezzo dell’età giolittiana, fu breve, non fu facile nel dovere tener conto di contingenti convergenze parlamentari che lo sostennero, conseguì l’importante conversione della rendita, e finì, esattamente un secolo fa (ecco un centenario), anche per via di un motivo particolare, che affrettò il previsto ritorno di Giolitti: l’opportunità di non celebrare il cinquantennio dell’unità con un ebreo a capo del governo, dati i delicatissimi rapporti con la Santa Sede. Non alziamo, per carità, una nuova querelle retrospettiva su questa coincidenza. La presidenza del Consiglio, in fin dei conti, è stata solo un culmine nell’opera politica di Gigione Luzzatti, che avuto molti riconoscimenti, anche di Mussolini, prima che sui suoi libri, con la svolta razzista, nelle biblioteche italiane fosse stampigliata la formula non gradito. C’è il Luzzatti economista, in grandi discussioni nel bivio tra liberismo e protezionismo, c’è il Luzzatti laicamente spirituale, assertore e studioso della libertà religiosa, vicino al modernismo, discosto come parecchi dal tracciato vero e proprio del retaggio ebraico, ma pronto a rivendicare la dignità dell’essere ebreo e a soccorrere lontane comunità in pericolo. Oltre Luzzatti la politica italiana ha annoverato parecchi ebrei nei governi, titolari di ministeri importanti: le finanze, il tesoro, la guerra (unico paese per quanto mi consti, con il generale Giuseppe Ottolenghi) la giustizia e i culti. Davvero molti sono stati i parlamentari, deputati eletti dal popolo, senatori un tempo nominati per particolari meriti o, come si diceva, creati.
L’impegno sociale denota una schiera di economisti, politici, pensatori ebrei, anche con una propensione di indole corporativistica, per esempio in Gino Arias e in Riccardo Dalla Volta. Non fu soltanto indirizzo di sfera pubblica, ma anche impiego generoso di mezzi privati, a scopi di socialità, di educazione, di cultura popolare e di alta cultura, come si vede in celebri fondazioni di Prospero Loria, dei Franchetti, dei Besso e non pochi altri. Era un esito della tradizionale zedakah riversato nella grande società circostante, non senza critiche, talora, di correligionari, che non lo vedevano altrettanto prodigato nell’ambito delle comunità, ma anche le comunità hanno avuto benefiche opere ed eredità.
Il riformismo non fu soltanto sociale, ma anche compreso di interesse per gli equilibri tra le parti della penisola, dovendosi ricordare l’opera di Leopoldo Franchetti con Sidney Sonnino e con Enea Cavalieri nell’inchiesta sulla Sicilia, a proposito del Meridione di cui già ho parlato.
Al di là degli interessi ed impegni sociali, una parte degli ebrei italiani ha militato, fin dagli inizi, nel socialismo, che ha avuto leader, teorici, giornalisti, amministratori locali ebrei, nelle sue varie tendenze: Giuseppe Emanuele Modigliani, Claudio Treves, Elia Musatti, Ugo Guido Mondolfo, Angelo Oliviero Olivetti, Uberto Mondolfi, Angelica Balabanov, Anna Kuliscioff (invero di padre ebreo convertito al cristianesimo ortodosso), Margherita Sarfatti, Carlo Salomone Cammeo. Al di là, poi, del socialismo, è l’apporto al comunismo, ma il discorso si sposta in avanti nel tempo.
La mappa politica dell’ebraismo italiano nella formazione e nelle prime fasi dell’unità italiana ha avuto altri spazi con la sinistra storica o costituzionale, quella di Depretis e la pentarchica (un politico e giornalista di primo piano fu Attilio Luzzatto, direttore de “La Tribuna”), con il partito repubblicano che compose l’eredità mazziniana e la cattaneana (una figura di primo piano fu Salvatore Barzilai), con il partito radicale. Ebrei furono appassionati ed attivi, dalla sorgente triestina e giuliana, nell’irredentismo, e non mancarono nel nazionalismo, come poi nel fascismo. Ne risulta un quadro di spontanea divisione e di grande articolazione, per spontanee collocazioni in ideali e settori diversi, compenetrandosi gli ebrei con la società italiana e le sue dialettiche. Rilevante è stata la presenza nella massoneria, sia per convergenza nella difesa della laicità, sia per sentore di simbolismo biblico, sia infine perché essa raccolse gran parte delle élites italiane o di strati borghesi, pur essendo anch’essa una minoranza. Un topos dell’antisemitismo è l’abbinamento polemico degli ebrei con la massoneria, cosa risaputa e ben documentata nella attuale mostra dell’antimassoneria, che ho visitato a Torino.
Resta da dire, tra le posizioni ideologiche e politiche, del sionismo, che può sembrare ma non è precisamente avulso dal quadro italiano, sia per l’attaccamento all’Italia che i sionisti hanno continuato ad avere in un ideale di armonici sentimenti patriottici, sia per il proposito, in quanto ebrei e italiani, di una relazione amichevolmente costruttiva tra l’Italia e la sede ebraica da fondare in Palestina. In fondo ogni posizione politica ha dei riferimenti negli orizzonti internazionali, come opzioni di politica estera, e tanto più nell’orizzonte mediterraneo, che tanto interessa l’Italia. I sionisti, o ormai semplicemente la maggioranza degli ebrei consapevoli, hanno il riferimento mediterraneo di Israele e costituiscono un fattore di collegamento con quella piccola ma considerevole sponda. A differenza delle posizioni anti israeliane, che discriminano specificamente quel paese, gli ebrei non pretendono esclusioni di alcun paese mediterraneo, bastando a loro che Israele viva e sia garantito, anzi auspicando, proprio per questo, l’allacciamento di rapporti con tutti i paesi di questo mare comune. Il risorgimento italiano è stato di esempio per il risorgimento ebraico, che nei sentimenti e nell’ottica degli ebrei italiani vuole essere il più possibile in armonia con l’Italia, a partire da esistenziali esigenze di chi ha sedi ed affetti in entrambi i paesi rivieraschi.
L’integrazione degli ebrei nella vita italiana ha direttamente seguito l’emancipazione, perché da una collocazione, per quanto marginale, da lunghissima data, sui territori, con una coltivazione di attitudini morali ed intellettuali, le famiglie ebraiche, veri seminari di primaria socialità, sono entrate nel vivo della costruzione unitaria ed hanno assimilato nuovi tipi di attività con versatile rapidità. Siamo alla famosa osservazione di Arnaldo Momigliano della nazionalizzazione simultanea e parallela, che invero necessita di una certa correzione, perché la differenza, per quanto attenuata, persisteva, soprattutto nella rappresentazione da parte non ebraica, nel contempo stupita ma anche allarmata dai successi dell’integrazione. Il caso Pasqualigo, con la raccomandazione del deputato liberale veneto, nel 1873, a non dare il ministero delle finanze a un ebreo, non ebbe effetto nei tempi lunghi, ma è una delle increspature, che richiede una temperata valutazione critica del giudizio, nel complesso valido, di Arnaldo Momigliano, espresso nel 1933 e contraddetto cinque anni dopo dalle leggi antiebraiche: che abbia voluto essere un contrafforte a parare l’esempio tedesco? Alla massiccia, ma non generalizzabile, avversione cattolica, o meglio del cattolicesimo integralistico, si aggiunse l’ideologia nazionalista, che induriva la disposizione culturale e gli obiettivi internazionali del patriottismo risorgimentale, diffidando di ogni sporgenza identitaria. Si aggiungevano le varietà di umori, di sospetti, di inquietudini, di slittamenti estremistici, variamente polemici verso uno o altro obiettivo, a seconda delle contingenze e delle concorrenze: tipico e frequente fu, al riguardo l’uso elettorale dell’antisemitismo. E ancora si aggiungevano le infiltrazioni di tossicità antisemitica dall’estero, contenute fino ad un certo punto dall’equilibrio italiano, finché il totalitarismo fascista l’assorbì o l’imitò dal potente alleato, decidendo di non esser da meno. Ma quel tragico rigetto non ha troncato, anzi rinvigorisce a distanza, la storia e la realtà di un ebraismo italiano vitale e partecipe. Di fronte ai marosi centrifughi, che sdegnano o caricano di colpe la costruzione dell’Italia, noi, che conosciamo il dolore di averla perduta e il costo nell’averla ritrovata, possiamo essere tra i sereni soggetti che la valutano e la tengono operosamente in piedi.

Bruno Di Porto

 http://moked.it/unione_informa/110213/110213.html



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :